Mescolare la storia di un microcosmo familiare con la macrostoria sociale e politica è una pratica narrativa che sembra andare di moda. Terreno impervio e difficile da coniugare...
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
Tutto il sito - Mese
6,99€ 1 € al mese x 12 mesi
Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese
oppure
1€ al mese per 3 mesi
Tutto il sito - Anno
79,99€ 9,99 € per 1 anno
Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno
Il punto di vista è quello del bambino che al dramma politico, per lui incomprensibile, aggiunge quello personale, ovvero il legame con un padre spesso assente per ragioni di lavoro (il padrenostro del titolo non è una preghiera, ma una didascalia). Tutto questo potrebbe bastare se non venisse aggiunto il lato onirico e ambiguo dell'amicizia di Valerio (alter ego di Claudio) con Christian, del quale solo alla fine si scoprirà chi essere. Difficile tenere assieme il romanzo di formazione, la rilettura degli anni Settanta, la rappresentazione di un trauma generazionale e personale, senza smarrire la direzione narrativa. Tra intenzioni autoriali e registro da pubblico generalista, il film non decolla, non giunge al pathos né aggiunge una rilettura dei fatti: resta nell'indefinibile in una sublimazione del passato personale segnata da stereotipi e da alcune piccole furbizie (il Pippo non lo sa di Rita Pavone, ad esempio).
Si aggiunga che la buona sequenza iniziale della sparatoria si reitera in vari modi e diventa enfasi e inutile ripetizione, come altrettanto fragile appare il personaggio di Christian in sospeso nell'area grigia di onirismo e realtà (forse voluto da Noce, ma irrisolto). Infine, se si vuole mettere in scena il passato, anche personale, bisogna che vi sia un'urgenza e un'elevazione del microcosmo che possa interessarci. Qui si guarda e basta. Per ultimo Pierfrancesco Favino premiato a Venezia: ha fatto di meglio.
Giuseppe Ghigi
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino