Un medico solitario e i conti con il passato

Un medico solitario e i conti con il passato
I comandamenti sono fatti per essere violati. E l'undicesimo, non scritto e implicito nel decalogo, imporrebbe di non odiare, ma la tentazione di trasgredire il comandamento è...

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I comandamenti sono fatti per essere violati. E l'undicesimo, non scritto e implicito nel decalogo, imporrebbe di non odiare, ma la tentazione di trasgredire il comandamento è forte se un medico di famiglia ebraica, padre deportato ad Auschwitz, si trova a dover salvare un neonazista che sta per morire dissanguato.

Se questo è l'incipit dell'opera prima di Mauro Mancini, è il senso di colpa, tipico di ogni dettato morale violato, a dare il corpo della storia. In una Trieste senza volto (un qui che può essere dovunque, una città riconoscibile solo nella sequenza nell'antica sinagoga), il nostro medico solitario tenta di riparare al grave torto e finisce per fare i conti anche col proprio passato e con i fantasmi della Storia. L'attualità di un ritorno al neonazismo nell'Europa che ha vissuto la Shoah viene piegata nel film in senso etico: conoscere da vicino l'altro da te impone dei cambiamenti sia a Simone Segre, il medico interpretato da un contenuto e quasi taciturno Alessandro Gassmann, sia a Marcello, il giovane contagiato dal padre nell'odio razziale (un credibile Luka Zunic al suo primo ruolo).
Ispirata a un caso in parte realmente accaduto a un medico, la storia si dipana con una drammaturgia piana, senza eccessi, quasi nel silenzio degli interni borghesi, e costruendo visivamente l'antitesi tra chi soffre la violazione di un comandamento professionale (l'obbligo di curare) e morale, e chi, come i giovani neonazisti, non sembra porsi domande praticando la gratuita violenza contro gli altri (il bangla tour di pestaggio come antidoto alla noia). Qualche passaggio nodale è un po' troppo accennato e il rapporto tra Simone e Marica (la primogenita orfana del padre fascista morto nell'incidente stradale) doveva trovare un più forte sfumatura, ma lo sguardo non giudicante del regista e il messaggio implicito (spezzare le catene dell'odio e riparare alle proprie scelte) ne fanno un esordio interessante e da vedere.
Giuseppe Ghigi
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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Il Gazzettino