Un commesso all'ipermercato e le sue magnifiche ossessioni

Un commesso all'ipermercato e le sue magnifiche ossessioni
Christian ha appena iniziato il lavoro nel reparto bevande di un grande megastore, un ipermercato alle porte di Lipsia, una specie di cattedrale gastronomica nel nulla, a due...

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Christian ha appena iniziato il lavoro nel reparto bevande di un grande megastore, un ipermercato alle porte di Lipsia, una specie di cattedrale gastronomica nel nulla, a due passi dall'autostrada. Vive un'esistenza solitaria, alla sera prende l'autobus e va a casa e resta solo. Siamo in una zona della Germania ex sovietica e sul lavoro Christian conosce Marion, una donna per la quale nutre subito una sincera attrazione, pur essendo misteriosa. Fa inoltre amicizia con il suo caposquadra Bruno, che lo aiuta a imparare le nuove mansioni, tra le più difficili manovrare un carrello automatico.

Un valzer tra gli scaffali è un'opera sorprendente, passata l'anno scorso alla Berlinale e dimenticato clamorosamente nel palmares. Stuber gira praticamente tutto il film dentro interi corridoi di scaffali di birra, banconi di surgelati, macchinari da guidare come auto; e mostra una vena malinconica, gravida di carità e compassione per questi personaggi relegati nel buio (la notte domina) da una società distante, accendendo in un'atmosfera di inconsolabile tristezza, momenti di paradossale comicità.

Il disagio è la forza magnetica del film e lo sguardo di Stuber è sempre saldamente asciutto, anche quando la tragedia irrompe, nel lato meno atteso. Mostra come le aspettative dopo la caduta del muro di Berlino si siano rivelate vane e la disillusione ha lasciato il posto a una rassegnazione senza riscatto. Molto bravo (come lo era stato anche in La donna dello scrittore), l'attore Franz Rogowski, che ha il volto scarno e desolato, intimorito dal mondo; non da meno Sandra Hüller (la ricordate in Vi presento Toni Erdmann che dà a Marion quella dualità di persona distonica, tra entusiasmi da lusinga e durezze improvvise. Nella sua ossessiva ripetitività quotidiana dei gesti (la vestizione, nel suo montaggio frenetico è lampante) e nel senso geometrico dello spazio gastronomico, altrettanto claustrofobico, il film trova un finale inaspettatamente poetico, dove la consolazione del mare lontano arriva nel modo più struggente.
AdG
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Il Gazzettino