«Troppe incertezze» Le banche via da Londra

«Troppe incertezze» Le banche via da Londra
Il settore finanziario non può permettersi di affrontare i due anni di incertezza del negoziato sulla Brexit, che sarà avviato entro marzo prossimo, e potrebbe iniziare a fare...

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Il settore finanziario non può permettersi di affrontare i due anni di incertezza del negoziato sulla Brexit, che sarà avviato entro marzo prossimo, e potrebbe iniziare a fare le valigie già nel 2017, con qualcuno già pronto a trasferire altrove parte delle attività della City a Natale. L'avvertimento arriva da Anthony Browne, amministratore delegato dell'Associazione bancaria britannica, in un articolo su The Observer, il domenicale del Guardian, nel quale spiega che nel negoziato sulla Brexit il governo fa bene a seguire la regola secondo cui si parte in grande e non si chiede mai meno di quello che si vuole, ma mette in guardia contro il rischio di portare alla disfatta prima ancora che i negoziati siano iniziati, poiché la direzione presa dal dibattito pubblico e politico, per il momento, è quella sbagliata. La disfatta, in questo caso, è la perdita o l'indebolimento del settore finanziario britannico, le cui fortune sono legate al cosiddetto diritto di passporting', quello che permette alle banche con sede nel Regno Unito di vendere servizi ai clienti di tutta l'Unione europea e viceversa.

Le grandi banche internazionali avrebbero le mani sul pulsante del trasferimento, secondo Browne, e si starebbero preparando al peggio, pur sperando nel meglio, dopo aver chiesto di avere un periodo di transizione per il periodo successivo all'uscita del Regno Unito dall'Unione europea, atteso per la metà del 2019. Con 1,2 trilioni di euro di prestiti alle società e ai governi dell'Unione europea, gli istituti con sede a Londra tengono il continente a galla da un punto di vista finanziario e rappresentano il più grande settore di export del paese.

Per l'ad della British Bankers' Association il problema non viene solo dal lato britannico, ma anche da quello continentale, quando i governi nazionali usano i negoziati sull'uscita dalla Ue per costruire un muro attraverso la Manica per spezzare in due i mercati finanziari integrati europei, in modo da far perdere posti di lavoro a Londra. Un atteggiamento in cui tutti avrebbero da perdere, secondo Browne, che è fiducioso che la capitale britannica sopravviverà come centro finanziario globale: La finanza è creativa e troverà un sistema per farcela. Non è la prima volta che dalla City giungono allarmi sul futuro del settore finanziario britannico, che ha votato in larga parte a favore della permanenza nella Ue. La settimana scorsa lo stesso Browne, all'assemblea annuale dell'organizzazione, aveva parlato dei team incaricati di studiare quali operazioni vadano spostare, entro quando e come e John Nelson di Lloyd's già a settembre aveva sottolineato come i toni della politica fossero sbagliati. Dobbiamo stare molto attenti a che il Regno Unito resti aperto, secondo Nelson, perché senza i talenti da tutto il mondo non rimarremo il centro finanziario che siamo oggi. Per James Bardrick, a capo delle operazioni di Citi nel Regno Unito, il dilemma è come e quando iniziamo a prendere decisioni, sapendo che il piano è pronto e ha ipotizzato l'inizio del 2017. Il fronte più oltranzista sulla Brexit ha cercato di minimizzare il problema, con Nigel Farage che ha accusato le banche di non accettare il responso delle urne, mentre il governo di Theresa May sta cercando in tutti i modi di rassicurare la City, anche se la premier ha detto che non ci saranno accordi privilegiati per il settore finanziario se questo significa rinunciare ai controlli sull'immigrazione.
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Il Gazzettino