Tra assalti e usura ricostruiti in Aula i primi passi del clan mafioso

Tra assalti e usura ricostruiti in Aula i primi passi del clan mafioso
IL PROCESSOMESTRE Risalgono al lontano 1999 le prime chiacchiere preoccupate di paese, ad Eraclea, sugli affari sporchi di alcuni campani provenienti da Casal di Principe che si...

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IL PROCESSO
MESTRE Risalgono al lontano 1999 le prime chiacchiere preoccupate di paese, ad Eraclea, sugli affari sporchi di alcuni campani provenienti da Casal di Principe che si proclamavano affiliati alla camorra, probabilmente per incutere maggior timore. E con le voci, i primi accertamenti da parte dei carabinieri.

Lo ha riferito ieri, in aula bunker a Mestre, un maresciallo in servizio a San Donà, che per anni ha lavorato per tenere sotto controllo la situazione ad Eraclea, finendo anche nel mirino delle minacce. Ad avvisare il sottufficiale dei rischi che stava correndo fu, qualche anno più tardi, il comandante del Nucleo provinciale, il quale lo chiamò a Venezia per metterlo in guardia: «I suoi figli dove vanno a scuola?», gli chiese l'ufficiale, raccomandandogli di parcheggiare la vettura soltanto in luoghi sicuri. «Nessuno, però, mi ha mai minacciato direttamente, né ha cercato di comperarmi», ha precisato il maresciallo.
DUE INTERVENTI
I pm Roberto terzo e Federica Baccaglini lo hanno convocato come testimone per riferire su due interventi da lui svolti tra il 2002 e il 2005. In un caso l'inchiesta è stata poi archiviata e la difesa ha eccepito sulla possibilità di poter ascoltare il maresciallo su vicende già concluse. Ma il Tribunale presieduto da Stefano Manduzio ha rigettato la richiesta dei legali di Donadio, gli avvocati Renato Alberini e Giovanni Gentilini, accogliendo la richiesta della Procura, secondo la quale gli episodi, anche se datati, sono importanti per inquadrare il fenomeno, e le modalità di azione della contestata associazione per delinquere.
COLPI DI PISTOLA
Nell'agosto del 2002 ad Eraclea fu presa di mira l'Agenzia Emiro di Dimitri Basso, contro la quale, nella notte furono esplosi 4 colpi di pistola.
Al loro arrivo i carabinieri raccolsero la testimonianza di un barista, il quale descrisse la vettura sulla quale, dopo gli spari, se ne andarono due soggetti. Il modello e le prime cifre della targa coincidevano con una delle auto utilizzate dagli uomini di Donadio e così iniziarono le ricerche. La vettura, un'Opel Kadett, era parcheggiata in piazza Garibaldi e, nel corso di alcune perquisizioni, a casa di Tommaso Napoletano (condannato mercoledì con rito abbreviato a 9 anni di reclusione per associazione di stampo mafioso) fu trovata una pistola con un solo proiettile e quattro mancanti, e l'uomo fu arrestato.
I proiettili rinvenuti in una scatola nell'abitazione di Napoletano erano dello stesso tipo dell'arma per la quale Donadio aveva il porto d'armi e i carabinieri hanno indagato per cercare conferma di possibili relazioni. Ma nessuna prova è stata raggiunta.
Il secondo episodio ricostruito in aula riguarda un presunto prestito usuraio accordato da Donadio ad un'esercente che denunciò Raffaele Buonanno e Christian Sgnaolin (quest'ultimo braccio destro del boss, condannato mercoledì con abbreviato a 5 anni e 10 mesi) facendoli arrestare per tentata estorsione mentre si erano recati nella sua azienda a riscuotere il dovuto. Nella successiva perquisizione, a casa Buonanno i militari dell'Arma sequestrarono una quindicina di assegni rilasciati da altre persone. L'inchiesta si concluse poi con un'archiviazione.
IN BANCA COL PRESTANOME
Il maresciallo dei carabinieri ha poi raccontato che la stessa esercente che non poteva ottenere linee di credito ufficiali in quanto già protestata, fu portata da Donadio da un amico direttore di banca, a Stretti di Eraclea, il quale le fece ottenere un fido facendo figurare come prestanome un'amica della donna.
Secondo la difesa di Donadio, però, la vicenda sarebbe andata in maniera diversa e per dimostrarlo ha chiesto di poter ascoltare due direttori di banca. Il boss nega di aver fatto un prestito all'amica esercente, sostenendo di essersi limitato ad introdurla ad un direttore per farle ottenere un fido. Successivamente, per evitare problemi allo stesso direttore, avrebbe saldato le scoperture della donna versando oltre 30 mila euro e questa sarebbe la somma di cui, successivamente, le avrebbe chiesto la restituzione per tramite di Buonanno e Sgnaolin.

Il processo proseguirà il 23 novembre con l'audizione di una vittima di usura, l'imprenditore Luigino Finotto: la sua denuncia costò a Donadio il patteggiamento di un anno e otto mesi di reclusione.
Gianluca Amadori
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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Il Gazzettino