«Stillicidio dovuto al maschilismo, è necessaria una battaglia culturale»

«Stillicidio dovuto al maschilismo, è necessaria una battaglia culturale»
L'INTERVISTAPADOVA «C'è un'impostazione della società a livello globale che è maschilista. E la donna ne fa le spese». Don Luca Favarin, il parroco degli ultimi, di fronte ai...

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L'INTERVISTA
PADOVA «C'è un'impostazione della società a livello globale che è maschilista. E la donna ne fa le spese». Don Luca Favarin, il parroco degli ultimi, di fronte ai femminicidi che hanno macchiato il Veneto fa un'analisi dura della situazione. Dura quanto schietta. Del perché queste donne vengono uccise. E non solo loro.

Don Favarin, qual è la prima cosa a cui pensa quando legge notizie come l'omicidio della vicentina di 21 anni Alessandra Zorzin per mano del padovano Marco Turrin?
«Mi fa accapponare la pelle. Sento vuoto, smarrimento, rabbia. Ma soprattutto ho la sensazione di essere impotente di fronte ad atti del genere. Vedo l'incapacità, in generale, di affrontare un problema che diventa sempre più grande, sempre più drammatico, sempre più importante, l'incapacità di capire le cause e arginare il fenomeno, mettere un freno».
Cosa le fa più impressione?
«Il fatto che sia uno stillicidio quotidiano. La gente cova questo odio, questo rancore che poi esplode e ferisce la prima persona che ha vicino, di solito un familiare. Ferisce ciò che in quel momento sente come più debole, più fragile e le donne ne fanno le spese sempre più spesso, almeno da quello che posso vedere dalle notizie di cronaca».
Si è dato una spiegazione del motivo per cui esiste il fenomeno della violenza di genere?
«Viviamo in una società maschilista. Siamo femministi di facciata, questa è la verità, non nascondiamoci dietro un dito che non è il caso. Anche la questione delle quote rosa è perbenismo di facciata, una misura inutile e inefficace. Alla fine ci sono sempre io prima. Riconosco i diritti degli altri ma solo dopo che sono stati garantiti i miei, questo è ipocrita ma è quel che accade».
Non parliamo più solo di donne, quindi.
«Esatto. Parliamo del diverso. Ce la prendiamo con chi è diverso da noi, le donne, lo straniero, il disabile. Lo percepiamo come estraneo e più fragile di noi, per questo se dobbiamo sfogare la nostra rabbia e frustrazione lo facciamo sul diverso. Ciò che mi fa paura è che questo scaricare la rabbia, macchiarsi di delitti terribili avviene quotidianamente, tutti i giorni. Uno dietro l'altro. Mi spaventa e mi spaventa ancora di più che la situazione venga affrontata in modo così superficiale».
E qual è la soluzione?
«È una battaglia culturale e non si combatte con interventi punitivi. Se qualcosa è così radicato nel nostro pensiero non se ne va con una multa o sei mesi di pena. È un problema sociale e come tale va affrontato, finora ho visto solo azioni superficiali, non c'è prevenzione. Serve una seria politica di integrazione del diverso: quando arriveremo ad accettare il diverso questi fenomeni si ridurranno drasticamente. Ma, lo ripeto, è un problema culturale e come tale va affrontato».
Torniamo all'ultimo caso di femminicidio. Il padre di Turrin chiede il perdono alla famiglia della donna. Si può perdonare un delitto simile?

«Solo chi sta vivendo questo momento può saperlo. Solo la famiglia della ragazza. Il perdono è una parola talmente immensa che richiede un percorso, un viaggio, non è così semplice come accendere un interruttore. Ricordiamo una cosa: il crimine non è mai un fatto privato, ha delle conseguenze nella società che possono essere devastanti».
Silvia Moranduzzo
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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Il Gazzettino