«Stanno emergendo situazioni rispetto alle quali è necessario lanciare

«Stanno emergendo situazioni rispetto alle quali è necessario lanciare
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«Stanno emergendo situazioni rispetto alle quali è necessario lanciare un segnale pubblico rispetto al rischio che il Pd veneto diventi balcanizzato da aree e correnti». Con l'occhio rivolto a sabato prossimo quando si terrà l'Assemblea regionale che indirà il congresso straordinario, Roger De Menech, 42 anni, deputato e segretario dimissionario dei Democratici veneti fa il punto. All'indomani della direzione regionale (venerdì) e del convegno di Praglia (sabato) caratterizzato dall'intervento di Maria Elena Boschi, ministro per le Riforme, proprio sulle polemiche più o meno sotterranee tra le componenti venete del partito.

Boschi ha detto: niente correnti nel Pd. Lei parla addirittura di rischio di balcanizzazione. Che succede?
«Dobbiamo cogliere, in chiave congresso, il segnale lanciato dal ministro Boschi. Abbiamo di fronte due strade: seguire la logica del riposizionamento o quella della costruzione di un progetto».
Con un partito così diviso propone un congresso unitario?
«Non parlo affatto di congresso unitario, semmai di unità d'intenti rispetto ad un progetto che mette al centro il cambiamento e la necessità di riorganizzare la presenza politica del Pd nel Veneto. Certamente con tesi e idee diverse, ma non affidando le decisioni ai personalismi del momento o al numero delle tessere».
I progetti passano per le persone...
«I nomi per il momento devono stare fuori, non devono essere il centro. Dobbiamo fare tutti un passo indietro. Se c'è un progetto regionale comune possiamo motivare militanti, dirigenti e attrarre nuovo consenso. Se invece - e oggi vedo questo rischio - facciamo il congresso per spartirci poltrone e tessere, allora non serve a niente, di sicuro non al Veneto. Il tentativo da fare è quello di spogliarci delle situazioni personali e anche degli assetti provinciali nel cui ambito si finisce per gravitare in fase elettorale dato che i collegi hanno quella dimensione. Dobbiamo riuscire a guardare più in alto anche perchè problemini, a livello provinciale, ne hanno tutti».
Vale per tutti questo discorso?
«Sì. Lo spartiacque non è chi eravamo. Ma chi vogliamo essere, come vediamo il Veneto di domani. Da questo confronto possono uscire situazioni diverse dagli schemi del passato, appartenenze nazionali comprese».
Si potrebbe obiettare: parla così perché è sul banco degli imputati.
«Chiariamo: la sconfitta regionale è di tutti. Certo, con pesi diversi e infatti mi sono assunto tutte le responsabilità connesse al mio ruolo e mi sono dimesso, assieme alla segreteria. Ma va detto che quella contro Zaia è stata una sconfitta politica, non organizzativa. Il programma e lo schema di gioco sono stati condivisi, la campagna è stata molto partecipata. Il problema è che il Pd perde da 20 anni, pur cambiando coalizioni e candidati. In Veneto ci manca la credibilità di essere forza di governo».
Personalmente che intenzioni ha?
«Se sarà un congresso con un progetto sono a disponibile a lavorare. In qualunque ruolo. Altrimenti mi chiamo fuori».
Quindi si ricandida a segretario?
«Non è in discussione la mia figura».
Chi l'ha preceduto, Rosanna Filippin, ha fatto una domanda: in Veneto dobbiamo avere un Pd con un progetto autonomo rispetto al al Pd nazionale? La sua risposta qual è?

«Mi sembrerebbe assurdo creare un Pd a due velocità che dice una cosa a Roma e un'altra a Venezia. Non siamo un partito autonomista o federalista, ma un partito nazionale che è la principale forza del governo del cambiamento. Questo deve essere il filo conduttore».
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Il Gazzettino