Silenzio per Marcinelle: «Una storia che non deve ripetersi»

Silenzio per Marcinelle: «Una storia che non deve ripetersi»
COMMEMORAZIONIBELLUNO Perché non si debba mai più morire di lavoro: Belluno non vuole dimenticare cosa successe in Belgio l'8 agosto 1956. A Bois du Cazier 262 minatori, di cui...

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COMMEMORAZIONI
BELLUNO Perché non si debba mai più morire di lavoro: Belluno non vuole dimenticare cosa successe in Belgio l'8 agosto 1956. A Bois du Cazier 262 minatori, di cui 136 italiani, rimasero prigionieri di un incendio. A 975 metri sotto terra. In quel buco, la miniera di Marcinelle, lavoravano uomini pronti, dignitosamente, a scendere ogni giorno sotto terra in nome di una speranza: tornare a casa un po' meno poveri di come si era partiti. Dino Della Vecchia, originario di Sedico morì nel disastro. Ieri, nella sede dell'Associazione Bellunesi nel mondo, il ricordo si è simbolicamente concretizzato nell'accensione di un cero posto accanto alla lampada al carburo, sopra la bandiera italiana. Tra i gonfaloni delle tante famiglie e le fasce tricolori dei sindaci, o loro rappresentanti, dei Comuni di Belluno, Cesiomaggiore, Alpago, Sedico, Santa Giustina, Borgo Valbelluna, Sospirolo, Rivamonte, Soverzene. È stato il padrone di casa, il presidente Abm Oscar De Bona, a sintetizzare la lunga lettera inviata per l'occasione dal governatore Luca Zaia, con l'elenco dei 5 veneti morti: «Emigranti laboriosi, cittadini con la C maiuscola parole di Zaia hanno perso la vita sul lavoro, cosa che non dovrebbe mai accadere». Anche Marco Perale, vicesindaco di Belluno, ha precisato come «la nostra terra abbia pagato, con l'emigrazione, un pedaggio altissimo». A raccontare un frammento di storia familiare sono venute le parole di Franco Gidoni, consigliere regionale, che ha poi affermato: «C'è questo Veneto, ma un altro Veneto è dall'altra parte del mondo, cerchiamo di tenerli uniti».

LA TESTIMONIANZA
L'orazione ufficiale, affidata a Sergio Cugnach - nato a Liegi, con padre operaio metallurgico - si è trasformata da testimonianza personale a riflessione su un'Italia, quella del 1946, che fece emigrare i suoi disoccupati: «Fu una sorta di deportazione di massa, con i nostri emigranti scambiati con sacchi di carbone e rimesse. Una storia che non deve ripetersi». La cerimonia, trasmessa in diretta mondiale da Radio Abm, si è chiusa con la benedizione portata dal diacono Francesco D'Alfonso: «La memoria diventi progetto di giustizia», il suo augurio. Quindi il cerchio chiuso, da D'Alfonso, sul nostro oggi: «Se ne parla poco, ma nelle campagne italiane c'è chi vive in condizioni di lavoro subumane».

Daniela De Donà
© riproduzione riservata
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Il Gazzettino