TRIESTE - A Roma. Per scongiurare lo scontro finale sotto le mura di casa al voto regionale della primavera 2018. Con un seggio parlamentare quale obiettivo minimo. A Roma per...
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Per Debora Serracchiani, nel duplice e ormai scomodo ruolo di vicesegretaria nazionale del Pd renziano e presidente del Friuli Venezia Giulia, il tempo degli indugi ha svuotato la clessidra. Anche se non si andasse ad elezioni nazionali anticipate. D'altra parte è la stessa Debora regional-nazionale a indicare un futuro dal perimetro più ampio: «Non nascondo la mia tristezza, ma il nostro impegno per l'Italia resterà altissimo».
Troppi rovesci in pochi mesi, un anno orribile, questo 2016 che finalmente finisce. Dalla perdita del Comune di Pordenone e della stessa, irridente capitale Trieste, che le ha appena assestato una gelida raffica di Bora referendaria urlando più forte che altrove quel minimo monosillabo feroce: No.
Assalto fallito a Codroipo, perduta la fortezza della finora fedelissima Monfalcone dei cantieri. E adesso la regina delle sconfitte: niente riforma costituzionale. Troppo, oggettivamente, per tentare la strada di una resistenza del consenso nella scoperta trincea regionale. Il Piave non scorre nel ventre del Friuli, al quale invece pertiene la contiguità di Caporetto. Sembrano difese d'ufficio quelle messe in campo ieri da uno schieramento Dem stordito come un pugile: «È strumentale piegare l'esito referendario alla situazione del Friuli Venezia Giulia», mette le mani avanti il capogruppo in Regione, Diego Moretti in attesa della doppia resa dei conti Dem: domani a Roma e sabato in Fvg. Gli fa eco la segretaria regionale, che sarà facilmente indotta a rimettere il mandato: «Il Fvg è una comunità politica che si è assunta la responsabilità del cambiamento. Il come sarà valutato e scelto insieme».
Ma la realtà è cruda: il voto è stato un No a Renzi e nell'Est del Nordest anche un No a Serracchiani. Un No - sussurrano i meno amici - dovuto all'autocrazia della sua Amministrazione. Ma anche - e non è poco - a due riforme che non si potevano non fare: la ristrutturazione del Servizio sanitario e quella delle Autonomie locali. Il punto è che per come sono state fatte e gestite, hanno mostrato la corda. O almeno questo è il messaggio prevalentemente passato alla coscienza collettiva. Le Unioni hanno accusato una ventina di modificazioni normative per spegnere il virulento fuoco della ribellione dei sindaci, mentre la Sanità paga pegno alla chiusura di servizi prossimi alle comunità locali in favore di eccellenze centralizzate. La salute, autofinanziata dal Friuli Venezia Giulia, costa ormai 2,6 miliardi all'anno e bisogna risparmiare riorganizzando. Ma non nel mio giardino, che discorsi.
E mentre i No asfaltano i Sì e il governo è caduto, Serracchiani ha fatto del Fvg l'unico lembo d'Italia dove le Province spariranno. Sul punto Mauro Zanin, leader dei sindaci ribelli, progetta da subito «una nuova rivolta».
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Il Gazzettino