I due pianisti italiani più eminenti del secondo Novecento sono forse i quasi coetanei Arturo Benedetti Michelangeli e Sergio Fiorentino (nella foto). Michelangeli incarnava un...
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Nel ventennio dalla scomparsa si ripensa a lui come a un protagonista, troppo a lungo ignorato, a parte gli interventi esegetici di Riccardo Risaliti e i ricordi di allievi e appassionati. Fiorentino emergeva nei compositori sarmatici, come Chopin, Liszt e Rachmaninov; proprio in questi autori imponeva uno smagliante virtuosismo strumentale. Si sarebbe tentato di definirlo un Horowitz italiano. Il suo iperbolico pianismo si liberava nella lucentezza del suono soprattutto in Rachmaninov, nel quale identificava il proprio pensiero musicale. Il gesto esecutivo nella Seconda Suonata rivela una immediatezza espressiva come adesione alla retorica del tempo. Attraverso Rachmaninov leggeva anche la fantasiadi Schumann con un affascinante respiro monumentale. In Liszt scopriva antitesi temerarie, in Chopin leggerezze e volubili effusioni. Sorprendeva l'enorme talento musicale, la versatilità, le risorse di improvvisatore e di trascrittore, la vastità del repertorio. Sergio Fiorentino amava anche sottigliezze alla maniera ottocentesca, con seducente grazia comunicativa. Riviveva il pianismo fine secolo in molti dei suoi variopinti aspetti, mentre Michelangeli che pur lo stimava molto- affinava i propri mezzi in un'area interpretativa tra Clementi e il Novecento storico francese. Dunque due personalità antitetiche che si erano imposte nel cuore del nostro Novecento.
Mario Messinis
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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Il Gazzettino