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(...) I giovani che s'incontrano dal vivo e provano a impegnarsi sulla scena pubblica, sottraendosi alla solitudine coatta delle pseudo-comunità virtuali, sono a loro volta un segnale interessante di vitalità. Ma per il resto, è tutto ancora da vedere. Molti dubbi (e ambiguità) restano da sciogliere. Ad esempio, sostenere che con i partiti e i loro simboli non si vuole alcuna contaminazione è davvero la strada migliore per tornare alla politica declinata come ricerca del bene comune e desiderio di partecipazione? Si fa il bene della democrazia delegittimando i partiti più di quanto già non lo siano? L'antipartitismo, inteso come rifiuto d'ogni mediazione e come esaltazione di uno spontaneismo che inclina alla sovversione, è un male che la sinistra ha sempre rimproverato alla destra. Il rischio è che invece di combatterlo come nel passato ora lo faccia proprio. D'altro canto le modalità di queste auto-convocazioni attraverso i social rimandano ad un prototipo chiaro e recente: il grillismo. L'impressione è che proprio a questa mentalità siano implicitamente debitrici le piazze che si vanno mobilitando per contagio in queste ore. Ma contro cosa esattamente? Questo è l'altro punto che andrebbe chiarito. Al momento siamo fermi all'antisalvinismo militante, forma senile, sebbene travestita di giovanilismo, dell'anti-berlusconismo ossessivo per aver utilizzato il quale come suo unico collante identitario la sinistra italiana s'è disseccata politicamente nella forma che oggi vediamo. Peraltro non è solo ironia notare che si sta protestando contro una forza che è formalmente all'opposizione, a meno che non si stia giocando d'anticipo con l'idea di impedire quando sarà il materializzarsi di un incubo totalitario. Ma salvare la democrazia è paradossalmente un obiettivo troppo grande perché una simile mobilitazione possa durare nel tempo. C'è da poi da considerare che le Rete è una strana bestia: quel che produce consuma, in entrambi i casi con una velocità spaventevole. La si usa per amplificare il proprio messaggio, salvo scoprire che se ne è usati secondo logiche che sono le sue. Favorisce dunque per contagio la nascita di un fenomeno (le sardine contro Salvini) ma genera immediatamente il suo antagonista virale (i gattini per conto di Salvini mangiano le sardine). Quanto alla tecnica del flash mob, utilizzata sinora per riempire le piazze, funziona nella misura in cui crea aggregazioni ahimé transitorie ed estemporanee. Ciò che appare materiale e concreto finisce spesso riassorbito nel virtuale che l'ha generato. D'altro canto non si può negare, solo per partito preso, che il sardinismo possa avere sviluppi politici duraturi. D'altro canto non c'è alternativa. Se i partiti che esistono non piacciono e non ci si vuole politicamente disperdere la soluzione che rimane è sempre la stessa: divenire in proprio una forza politica. Non trascuriamo infine un'altra possibilità. Che si sia in presenza di una delle nostre solite messe in scena teatrali. Dove finisca la provocazione e dove cominci la politica è difficile dirlo, ferma restando la fertile creatività dei ragazzi che si sono inventati il brand. Uno dei quali ha detto forse la verità su quel che è successo: le sardine sono state un esperimento (in effetti riuscito) per oscurare la campagna elettorale di Salvini. Il che significa che se vincerà Bonaccini non ne sentiremo più parlare e avremo dunque fatto tanta sociologia per nulla.

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Il Gazzettino