segue dalla prima pagina (...)E infine, terzo, perché l'altro reato ascritto

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segue dalla prima pagina(...)E infine, terzo, perché l'altro reato ascritto a Salvini, il sequestro di persona, sarebbe stato commesso sotto gli occhi dello stesso pubblico...

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(...)E infine, terzo, perché l'altro reato ascritto a Salvini, il sequestro di persona, sarebbe stato commesso sotto gli occhi dello stesso pubblico ministero che lo aveva ipotizzato, ma che non aveva fatto nulla per porgli fine.

Ora è accaduto che la procura di Palermo, cui gli atti erano stati inviati per la trasmissione al Tribunale dei Ministri, si è dichiarata incompetente, e ha spedito gli atti a Catania, dopo avere peraltro eliminato l'ipotesi di arresto illegale. Essendosi verificate le prime due nostre previsioni aspettiamo la terza: che un'eventuale imputazione di Salvini sia accompagnata da una contestuale accusa al Pm di Agrigento, responsabile di omissione di atti d'ufficio e forse di concorso nel sequestro, ai sensi dell'articolo 40, 2°comma, del codice penale. Secondo il quale, ripetiamolo, non impedire un evento che si ha il dovere di impedire equivale a cagionarlo.
Davanti a simile pasticcio la domanda è: può un Paese sopportare una simile confusione di ruoli e mantenersi credibile?
Secondo esempio. Il vicepremier Di Maio, lamentando l'interferenza di una maninache avrebbe modificato la bozza del decreto sul condono ha minacciato di rivolgersi alla Procura della Repubblica. Ora, a parte l'impossibilità di individuare un reato in questa ipotetica alterazione, il dato significativo e allarmante dell' iniziativa, peraltro opportunamente ritirata, è l'ennesimo riconoscimento, stavolta ai massimi livelli, della subalternità della politica di fronte alla Magistratura.
Come altro può definirsi il comportamento di un ministro che davanti a una lamentata ( e, se, reale, gravissima) violazione di lealtà politica non trova di meglio che rifugiarsi nell'intervento del Magistrato, come un bambino capriccioso invoca l'intervento della mamma? La seconda domanda quindi è: può un Paese sopportare una simile devoluzione impropria di funzioni? Evidentemente non può.

Con queste premesse, è lecito supporre che la lettera di Tria, sarà accolta con scetticismo pur rivendicando il principio condivisibile che certe regole e la pura ortodossia non sono un tabù. Ma affidare (anche) alla auspicata ma non avviata riforma della Giustizia la possibilità del mantenimento degli impegni assunti e della riduzione del deficit, significa presentare un libro di sogni che un'Europa diffidente, e forse ostile, prenderà a pretesto della nostra inaffidabilità, considerandolo l' ennesimo tentativo di giocare a carte truccate. Un gioco pericoloso, salvo che qualcuno, qui da noi, faccia prima saltare il banco.
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Il Gazzettino