Un paio di ritorni. E due nuovi ingressi. I "veneziani" coinvolti in questa nuova inchiesta che scoperchia l'affare bonifiche, sono quattro: da un lato, Giovanni Mazzacurati e...
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Il coinvolgimento di Mazzacurati in questa vicenda non è una novità. Il "padre" del Consorzio Venezia Nuova - arrestato nel 2013, che con le sue successive confessioni ha contribuito all'inchiesta veneziana sul sistema Mose - stavolta è accusato, con il direttore generale del Ministero dell'ambiente Mascazzini & compagni, di associazione a delinquere finalizzata al falso e alla truffa ai danni dello stato per le vicende legate alle lagune di Grado e Marano, ma anche alla concussione per le pressioni fatte a vari imprenditori di Marghera perché sottoscrivessero le cosiddette transazioni ambientali. Nella prima vicenda, legata al Sito di interesse nazionale friulano, é coinvolta anche l'ingner Brotto. L'ex ad di Thetis, arrestata a giugno per lo scandalo Mose, solo due settimane aveva patteggiato 2 anni e 600mila euro per uscire di scena da quell'inchiesta. Ma ora si apre questo nuovo fronte giudiziario. Secondo gli inquirenti udinesi e romani, Mascazzini e il suo gruppo aveva messo in piedi un sistema volto a «ingigantire le emergenze ambientali» per tenere in piedi l'apparato e dare lavoro ai gruppi amici. Con questo sistema anche Thetis aveva lavorato, insieme ad altre società, alla bonifica dell'area ex Caffaro, mentre attraverso il Magistrato alle acque aveva partecipato alla realizzazione delle casse di colmata di Lignano Sabbiadoro. Stesso fine anche dietro alle transazioni ambientali imposte dal Ministero alle società di Porto Marghera per incassare soldi che poi venivano riversati al Consorzio Venezia Nuova. In questo caso l'accusa è di concussione e, oltre a Mazzacurati, sono coinvolti Barbanti, attuale socio amministratore della società InTea srl di Venezia, e Schiesaro. Nella ricostruzione dei magistrati, il «regista incontrastato dell'operazione» resta Mascazzini, ma anche Schiesaro ha un ruolo importante, di «mente giuridica», che emerge dalle intercettazioni in cui immagina vari sistemi per costringere le aziende a pagare. Barbanti, invece, è uno degli «addetti a trovare assolutamente qualche appiglio per poter sostenere che, pur essendo estranee all'inquinamento, le aziende da costringere a transare erano sporche». E tutti «agiscono con la spregiudicatezza di consumati malfattori - scrive la Procura - concentrando la loro attività su un solo bersaglio: prendere quanti più soldi possibile dalle transazioni».
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Il Gazzettino