Se Salvatore Settis dovesse oggi curare una riedizione del suo fortunato pamphlet dell'anno scorso Se Venezia muore, temo che gli toccherebbe aggiornarlo già nel titolo,...
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Sembra, infatti, che non ci sia più nulla da fare. Troppi malanni grandi e piccoli, troppa disperazione del futuro, troppo cinismo, troppa volgarità assediano e, anzi, hanno espugnata forse senza possibilità di recupero questa singolare realtà complessa e triste, bella oltre ogni possibile sindrome di Stendhal, appetibile e sventuratamente svenduta in un moto incessante di distruzione e autodistruzione.
Adesso la novità è la minaccia di vendita che incombe, tra gli altri, sul dipinto più celebre in assoluto a livello mondiale tra quanti sono conservati nei musei cittadini: la Giuditta II (Salome) di Gustav Klimt. E sarebbe già un elemento su cui riflettere, ma non è la principale delle considerazioni da fare, quella sulla notorietà e la visibilità di quell'opera (più celebre addirittura dei Bellini, dei Giorgione, Tiziano, Veronese, Tintoretto è così via conservati in città!): ma anche se fosse meno celebre o quasi sconosciuta, essa è talmente connaturata a caratteri, forma, ethos, simbologia e storia culturale di questa città da essere per così dire necessaria ad essa, inscindibile e tragicamente identificabile e identificata con essa.
L'acquisto che se ne fece nella Biennale del 1910 per volontà dell'Amministrazione cittadina e per impulso di Nino Barbantini, geniale primo direttore di Ca' Pesaro, fu un riconoscimento fulminante di questa imprescindibilità e fu un momento alto e puro, nonostante qualche sberleffo e qualche vignetta satirica; segnò infatti una svolta clamorosa nelle tormentate vicende culturali, politiche e amministrative in cui la città si dibatteva da decenni. L'acquisto dell'allora già celebre capolavoro, ebbe il potere di reimmettere Venezia nel cerchio magico della grande arte mondiale, quel cerchio dal quale la città era uscita da tempo per la grettezza e l'insensibilità di una classe di governo invecchiata, sfibrata, priva oramai di orizzonti morali e culturali.
La Giuditta di Klimt evocava esplicitamente i mosaici di Venezia e di Ravenna che avevano, qualche anno prima, ammaliato il pittore viennese nel corso di due suoi viaggi sulle lagune e lo avevano convinto a una singolare conversione del suo linguaggio, cioè a creare una modernità intessuta di sensazioni e vibrazioni che giungevano da un passato in cui luce, colori, materia, linee, forme, volumi e sagome recavano il sigillo di civiltà antiche e grandi nelle quali però si riversavano conoscenze, scienze e discipline - la psicanalisi su tutte - in grado di dare nuova vita, e nuova forza alle ineludibili domande di quell'uomo novecentesco che tra drammi e splendori affrontava il secolo nuovo, quelo che sarà chiamato il "secolo breve".
Giuditta nella sua ambiguità e nel suo fascino (modernariato!!??) è anche Venezia, o forse è soprattutto Venezia e seppe trovare nei giovani artisti della città che allora si ridestava a una nuova vita, seguaci, interlocutori, interpreti talvolta geniali: la lezione di Giuditta giunge infatti fino a Giuseppe Torres, a Carlo Scarpa, a Guido Sullam, ai vetri e alle tele di Zecchin, alle innumerevoli invenzioni di Fortuny, ai Wolf Ferrari (il pittore e il musicista), ai Nono (il pittore e il musicista), ai Cadorin, ai De Maria. Potrei continuare per molte righe ancora. Ecco perché non la si può perdere, ecco perché non la si può tradire. Come non si può tradire Il Rabbino di Chagall, le cucitrici di vele di Sorolla, Gino Rossi, Martini, Carrà, Sironi, De Chirico. Perché sono necessari, indispensabili e imprescindibili, come le pietre e i marmi antichi e moderni, senza distinzione di nazionalità e di provenienza.
Non si può non salvare Giuditta. E tuttavia da oggi, purtroppo, la morte l'insegue. I commentatori di politica ci insegnano che parlare di qualsiasi argomento tocchi il regolare svolgimento della vita delle istituzioni (scioglimento delle Camere, elezioni anticipate, designazioni elettorali ...) significa avviare le pratiche perché anche quel che si vuol esorcizzare, si avveri. È necessario salvarsi da questo destino.
*ex direttore
Musei Civici
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Il Gazzettino