Sull'auto dei fidanzati uccisi nel parcheggio del palasport di Pordenone, tra il sedile del conducente e la leva del freno a mano, c'è un Dna sconosciuto. È un profilo...
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È emerso ieri - nona udienza del processo celebrato in Corte d'assise a Udine - dalle testimonianze del capitano Fabiano Gentile, direttore di laboratorio al Ris di Parma e del capitano Nicola Staiti, della sezione Biologia del Ris. La difesa è convinta che l'udienza abbia prodotto una «prova a discarico» dell'imputato. «Perchè questo - sottolinea l'avvocato Roberto Rigoni Stern - non è un indizio, ma una prova scientifica». Che ci sia il Dna della vittima è normale, può anche capitare di trovare tracce biologiche successive al delitto. Ma quello rimasto ignoto non è compatibile con quello delle persone intervenute dopo l'omicidio. E nemmeno con quello di Ruotolo. «È un elemento fortemente significativo», insiste il codifensore Giuseppe Esposito.
Il dato non sembra preoccupare la pubblica accusa. Le domande poste dal pm Matteo Campagnaro agli esperti del Ris miravano a far emergere che il materiale biologico analizzato era esiguo, probabilmente degradato dall'alta temperatura prodotta nella camera di combustione della pistola. Elemento, quest'ultimo, che può incidente nella comparazione e pregiudicare il risultato, ha spiegato il capitano Staiti. Lo stesso ufficiale del Ris ha detto di non aver mai analizzato una «traccia biologica vera e propria». Le campionature arrivate in laboratorio sono state raccolte su superfici ed erano tese all'estrapolazione di un Dna da contatto. Anche il bossolo finito vicino al freno a mano, secondo gli investigatori, potrebbe essersi contaminato con un Dna presente in auto prima del delitto. Si tratta di analisi molto complesse e di interpretazioni che si complicano quando vengono rilevati profili misti. I due capitani del Ris sono gli stessi che hanno comparato il Dna di Rossetti con Ignoto Uno. E per spiegare che cosa sono gli elettroferogrammi, i grafici usati per la comparazione dei Dna, hanno preso come esempio proprio il caso di Yara.
Un secondo Dna è stato individuato in uno degli orologi sequestrati a Ruotolo. «Si cercavano microtracce sul cinturino o sul gancio - ha spiegato Staiti - perchè si ipotizzava che lo sparatore si fosse macchiato con uno sciame di tracce ematiche». Il Dna trovato è maschile, ma non appartiene nè a Ruotolo nè a Trifone. Infine, un Dna misto è stato trovato sotto la suola di una scarpa sequestrata all'imputato. Anche in questo caso non ha fornito alcun dato utile alle indagini.
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Il Gazzettino