Populismo, un miraggio democratico

Populismo, un miraggio democratico
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IL LIBRO
Volete capire se il governo Lega-Cinque Stelle durerà? E quanto a lungo? Volete capire se riuscirà a superare i marosi del Russiagate? E a quale prezzo? Per saperlo, leggete o rileggete la Popolocrazia di Marc Lazar e Ilvo Diamanti. Il saggio a quattro mani del sociologo italiano e del politologo francese, uscito da Laterza un anno fa e ora tradotto da Gallimard, regge bene la prova del tempo. Offre infatti una completa disamina del populismo, fenomeno caratteristico dell'epoca contemporanea, che affonda le radici, sin dai tempi di Robespierre e del generale Boulanger, nella crisi della democrazia rappresentativa. E oltre a una rassegna ragionata della sterminata bibliografia, pone le domande chiave per darne una definizione plausibile e per comprenderne la natura politica e dunque il futuro possibile.

LE ASPIRAZIONI
La premessa è chiara: il populismo, anzi i populismi, non possono essere interpretati solo come una minaccia per la democrazia liberale e rappresentativa, o come portatori di una speranza di rinnovamento della stessa. Lungi dall'essere un problema in sé, il populismo è, secondo i nostri autori, la manifestazione di un problema della democrazia liberale e rappresentativa. Indissociabile dall'antipolitica, comporta da un lato un rigetto verso ogni genere di politica, e dall'altro l'aspirazione a una democrazia diversa, nella fattispecie diretta, come sognava Jean-Jacques Rousseau nel Settecento, quando ricordava ai suoi lettori che il cittadino moderno ha l'illusione di essere libero, ma in realtà è schiavo, perché è libero solo al momento del voto, o addirittura una democrazia immediata, come vorrebbero per esempio oggi gli emuli di Rousseau della Casaleggio & Associati, che da decenni sfruttano in modo spregiudicato le risorse messe a disposizione dalla rivoluzione tecnologica.
Ecco allora che da destra e sinistra, contro i partiti e le istituzioni tradizionali, e di fronte al declino delle culture politiche tradizionali è emersa quella che Bernard Manini ha definito la democrazia del pubblico caratterizzata da un processo di personalizzazione e mediatizzazione della politica. Abbiamo tutti in mente il ritorno in auge con Nicolas Sarkozy del desiderio di incarnazione presidenziale, o la fortuna della personalizzazione conseguente in Italia alla fine dei partiti. Poi per effetto della globalizzazione, della progressiva integrazione europea, che ha ridotto il margine di manovra degli stati nazione, per il sopravvento del capitalismo finanziario internazionale, oltreché dello sviluppo impetuoso delle tecnologie, siamo entrati nella nuova era della popolocrazia, che equivale all'ascesa di movimenti e partiti populisti e alla contaminazione del fondamento stesso delle nostre democrazie.
LE CONSEGUENZE
Il popolo sovrano viene sacralizzato a discapito dei suoi rappresentanti e delle istituzioni in cui si organizza, e dunque si limita l'esercizio del potere. Da qui l'antagonismo esplosivo e crescente, moltiplicato dai media, da internet, dai social network, tra le élite corrotte, l'Unione europea indifferente e severa, e il popolo vero, il popolo virtuoso, il popolo che soffre, perché i cittadini si sentono di serie B traditi dalle oligarchie, delusi dalla globalizzazione di cui non vedono i vantaggi, minacciati dall'immigrazione.

Il problema è che la popolocrazia, col ricorso permanente alla democrazia immediata, nell'illusione di ricreare un'agorà telematica (da qui i bacioni di Salvini, e le dirette Facebook di Di Maio) non fa che indebolire i contropoteri, modificando il modo stesso di fare politica, in una corsa spasmodica alle attese dell'opinione pubblica. Da qui la lepenizzazione degli spiriti, in Francia, e in Italia la campagna elettorale permanente. Attenzione, però, avvertono i due studiosi: non sono forme estemporanee di un fenomeno di transizione, ma le caratteristiche di una metamorfosi in corso, e probabilmente irreversibile, della democrazia contemporanea.
Marina Valensise
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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Il Gazzettino