Piuma, la povera leggerezza Monte, il peso del maestro

Piuma, la povera leggerezza Monte, il peso del maestro
Piume, mostri, monti, ma è una di quelle giornate che rischiano di riaccendere il dibattito, a tratti furibondo, sul cinema italiano. Sgombriamo il dubbio: “Piuma” di...

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Piume, mostri, monti, ma è una di quelle giornate che rischiano di riaccendere il dibattito, a tratti furibondo, sul cinema italiano. Sgombriamo il dubbio: “Piuma” di Roan Johnson, già autore del grazioso “Fino a qui tutto bene”, è una commediola che ha un suo perché sul mercato delle uscite in sala. Vive su alcune battute che fanno anche ridere (non troppe comunque...), staziona tra la sitcom e il canovaccio mocciano-mucciniano, vorrebbe anche tracciare un'analisi sociologica dei ragazzi italiani d'oggi (ma francamente è risibile), finendo quasi per diventare un manifesto pro Fertility-Lorenzin (il tema principale è la maternità).

Il suo guaio è rappresentare l'Italia alla Mostra, perché è una presenza del tutto sproporzionata non solo ai risultati, ma probabilmente anche agli intenti. E come tale poi viene giudicata, rapportandosi ovviamente a film con cui non è troppo in parentela. Il problema non è: commedia sì, commedia no in concorso. Le commedie sono sempre esistite anche ai festival, ma ci sono Hawks e Lubitsch, come Vanzina e Moccia e insomma un qualche pensiero di diversità bisogna anche farselo.
A Venezia sono passati tra il trionfo e gli applausi commedie-gioiello come “Ritorno al futuro” (solo un esempio), ma credo si capisca l'enorme differenza. Invece ormai il degrado collettivo della visione porta anche un pubblico professionale e preparato (ma attenzione: non esiste più la proiezione per la sola stampa) a ridere e ad applaudire per la più consumata delle battute, magari pecoreccia. Il livello è questo, assai raro ormai sentire un applauso a scena aperta per una soluzione estetica rilevante. Ma se fa ridere, allora è bello. E se critichi, scatta l'indignazione. E invece no. Quindi “Piuma” è un filmettino simpatico leggero più di una piuma, ma è come mandare il Giana Erminio (Lega Pro, girone A) in Champions league. E in Italia (e alla Mostra) la querelle solitamente prende fuoco (da Franchi a Placido, fino alla Comencini...). Curioso semmai notare come i primi due film in gara per l'Italia rappresentino i due estremi del concorso. Ne riparleremo.
Il Concorso zoppica ancora. Il messicano Amat Escalante in “La region salvaje” racconta la storia torbida di Veronica, donna misteriosa che cela un segreto orribile. Veronica spinge una coppia e il fratello di lei ad addentrarsi nel bosco, per trovare una specie di felicità. I risultati saranno devastanti. Confezione ruvida, atmosfera malata, rapporti funzionali all'ambiente in quello che Escalante fa diventare una specie di “Possession” zulawskiano bis (sfacciato il rimando del mostro...), ma perdendo la partita. E con una morale ambigua: liberazione di Veronica che cede il “testimone”? O la sessualità come distruzione della famiglia, quindi moralista? Difficile esserne certi...

Tutto questo fa diventare ancora più incomprensibile l'esclusione dal Concorso di “Monte” di Amir Naderi, girato tra Alto Adige e Vajont, in un ipotetico medioevo in una baita ai piedi della roccia. Il film è l'esplosione letterale della ricerca (ferocemente mistica) della luce da parte dell'uomo, nell'eterno suo conflitto con la natura. Un film quasi muto dal sonoro mirabile di Tom Paul e Gianfranco Tortora (la voce della montagna è un lamento minaccioso continuo) e la fotografia prodigiosa di Roberto Cimatti, la cui ultima mezz'ora di sole picconate alla roccia è un canto all'essenza del cinema.
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Il Gazzettino