Uomo tosto e sanguigno. «Sono di destra, embé?!». Soprattutto è super pop Pirozzi Sergio, il sindaco di Amatrice il quale ha preso il megafono, ha idealmente indossato la...
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Arcitaliano? Arcimatriciano. «Amatrice non esiste più», è stato il suo primo grido di dolore, la prima richiesta d'aiuto sui media e non c'è telecamera che Pirozzi non provi a intercettare. Se non va lei da lui, va lui da lei: «Sono un comunicatore». Senza peli sulla lingua: «Voglio dire a tutti quelli che ci aiutano: più che latte e panini, ci servono soldi». L'altra sera Claudio Lotito gli ha donato una maglietta della Lazio, regalo azzeccato per il sindaco-allenatore (guida il Trastevere, la squadra in cui esordì Totti, oggi in serie D) e che prima del sisma che ha azzerato tutto aveva portato alla ribalta il nome del suo paese con iniziative ad effetto. Prima la minaccia di fare una secessione dal Lazio se avessero chiuso l'ospedale (ora crollato in buona parte). Poi la polemica sulla pasta alla amatriciana con lo chef Carlo Cracco (che nel sugo ci voleva mettere l'aglio). Infine qualche frecciata a Matteo Renzi (prima del feeling e delle telefonata di ieri grazie alla quale: «Matteo ha detto di pensarla come me sui funerali») e se l'è presa ultimamente anche con Virginia Raggi, che aveva usato il termine «all'amatriciana» in senso dispregiativo: «Tutelerò il nome della mia città!», ha rombato Pirozzi che è molto affezionato alla sua felpa salviniana su cui naturalmente c'è scritto Amatrice. «La felpa - così racconta - è stata la prima cosa che ho tirato fuori da casa, quando ho abbandonato la mia abitazione». Ieri sera, fino a tardi, lo si è visto mentre ispezionava il campo a ridosso della tendopoli della Croce Rossa, in cui oggi si svolgeranno le esequie, per vedere se il lavoro di livellamento del terreno procedeva bene: «Con tutto il casino che abbiamo scatenato per avere i funerali qui, non possiamo fare brutta figura davanti al mondo». «Ho perso tutto e non scappo», è uno dei suoi mantra. Un altro lo ha detto a Renzi e lo ripete a tutti: «Io barcollo ma non mollo». Oppure: «Vi sembro uno che pettina le bambole?». «Noooooo», è la risposta che vuole sentire dai suoi compaesani e loro sinceramente gliela rivolgono.
Eletto sindaco per la seconda volta nel 2014, ha un passato da consigliere provinciale di An e da un anno e mezzo è anche presidente dell'Associazione dei comuni dimenticati. Una battaglia portata avanti anche dopo le scosse di questi giorni e le parole che ripete a tutti i concittadini suonano cosi: «Mandate un messaggio di positività: se non c'è positività i piccoli centri si spopolano e le città non ce la fanno più».
«Se i tecnici della ricostruzione sbagliano, glielo diciamo senza paura. E se sbagliano, pagheranno». Sergio il Sanguigno si considera il simbolo dell'Italia che resiste a tutte le avversità. Ma il rischio è che esageri. E che il suo piglio da capopopolo gli prenda la mano e possa scalfire quell'equilibrio tra popolazione locale e istituzioni nazionali che in questi giorni ha funzionato bene e che oggi pomeriggio verrà di nuovo messa alla prova durante le esequie. Per le quali ha consigliato a Renzi: «Perché non indossi, per l'occasione, una grande felpa con su scritto Italia?».
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Il Gazzettino