Pipinato, nero choc 127 milioni all'estero

Pipinato, nero choc 127 milioni all'estero
LA STORIAsegue dalla prima pagina(...) Solo una parte di questo fiume di denaro, frutto delle attività aziendali in nero di Pipinato, sarebbe però finito oltrefrontiera...

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LA STORIA
segue dalla prima pagina
(...) Solo una parte di questo fiume di denaro, frutto delle attività aziendali in nero di Pipinato, sarebbe però finito oltrefrontiera attraverso i buoni uffici dello studio padovano Penso-Venuti e dei loro intermediari svizzeri. Perché Pipinato poteva contare anche su un altro tesoretto in terra elvetica. Era collocato presso la Banca Zarattini ed ammontava a 25 milioni di euro.

È lo stesso Pipinato a confermarlo ai magistrati, spiegando i rapporti che lo legavano ai Penso e a Venuti e le modalità con cui avveniva l'esportazione illegale di capitali.
BANCA ZARATTINI
«Tutto il denaro affidato allo Studio Penso deriva da evasione fiscale effettuata per molti anni dalla mia azienda....L'evasione era frutto di una precisa scelta imprenditoriale....In sostanza acquistavano in nero e vendevamo in nero. Tale attività ci ha consentito di accumulare negli anni consistenti somme di denaro in contante che dall'inizio degli anni 90 destinai su una posizione svizzera da me aperta in quella che poi sarebbe divenuta Banca Zarattini».
È nel 1997 che entrano in scena i commercialisti padovani. «Lo Studio Penso conosceva da anni la Pipinato spa. Sapevano benissimo che facevamo abitualmente il nero....Verso il 1997-98 chiesi a Guido Penso come poter gestire il provento dell'evasione in quanto i controlli erano sempre più stringenti. Il Penso mi propose di consegnarglielo al fine di trasferirlo all'estero affermando che avrebbe messo lui a disposizione strumenti appropriati ad aprire un conto svizzero senza la necessità che io apparissi quale intestatario».
E così accadde. Il passaggio di denaro avveniva attraverso precisi messaggi in codice. È lo stesso Pipinato a spiegarlo. «La cosa funzionava così: Penso mi telefonava e in codice mi chiedeva se avessi disponibilità di uno, due tre campioni ( riferendosi evidentemente a scarpe). Io sapevo, essendo preconcordato, che ciò voleva dire che mi stava chiedendo 100, 200 o 300 mila euro da portare fuori».
Una parte considerevole di questo nero sarà poi indirizzata verso investimenti immobiliari. Non solo in Italia ( i palazzi di via Porciglia a Padova, la sede di Mediaworld sempre a Padova, con relativi affitti milionari introitati, a cui aggiungere la sede della sua Pipinato Calzature) ma anche all'estero, in particolare a Dubai, dove il noto imprenditore calzaturiero aveva portato la bellezza di 33 milioni di euro.
OPERAZIONE EMIRATI
A indirizzare Pipinato verso gli Emirati è sempre lo stesso Penso con il socio Paolo Venuti che a metà 2000 convincono alcuni loro clienti a investire a Dubai. Un' avventura immobiliare che parte in modo assai brillante: «Iniziai con un piccolo investimento che fruttò in brevissimo tempo (un paio di mesi), un incremento del 40%. Da cosa nasce cosa e i miei investimenti aumentarono», ha spiegato ai magistrati Pipinato. E aumentarono in misura assai considerevole. L'imprenditore padovano ha investito in immobili a Dubai ben 33 milioni, tutti provenienti da conti all'estero, senza però mai apparire formalmente. A farlo era Franco Casale Romei, un operatore del settore residente negli Emirati Arabi e legato anche da vincoli di parentela ai Penso (la moglie di Guido Penso è sua cugina). Nell'inchiesta che risulta ancora apertam sul tavolo del procuratore aggiunto Stefano Ancilotto, Franco Casale Romei figura come un amministratore degli appartamenti comprati con i soldi investiti nel paese arabo. Non è indagato, ma questo era il suo ruolo. Peraltro dopo il felice debutto iniziale l'operazione Dubai si è rivelato assai meno soddisfacente del previsto per Pipinato, il quale è costretto ad ammettere che «verso il 2010 gli investimenti a Dubai hanno iniziato a perdere di valore... e di recente ho scoperto che mi vengono riconosciuti investimenti inferiori già al costo originario».

Una battuta d'arresto che intacca solo marginalmente il robusto patrimonio dei Pipinato. Un gruppo gestito in larga parte «attraverso società estere di mera interposizione fittizia». Nella ricostruzione il pm Ancilotto, ricorda che i Pipinato «detengono il 100% di Silversteen, società interposta con sede a Curacao, che detiene il 100% di Aureum Olandese, la quale detiene il 100% di Pipinato Calzature Spa». Racconta un dipendente dello studio Penso: «Il cliente impartiva dall'Italia direttive singole...e l'obiettivo era di simulare che fosse redatto in Olanda»
Nicola Munaro
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Il Gazzettino