«Ora che ho chiuso tutti gli scatoloni, mi sento più leggero. Sono sicuro

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«Ora che ho chiuso tutti gli scatoloni, mi sento più leggero. Sono sicuro che Paolo Gentiloni farà bene, mi fido di lui. E io adesso riprendo il mio cammino, mi occupo del...

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«Ora che ho chiuso tutti gli scatoloni, mi sento più leggero. Sono sicuro che Paolo Gentiloni farà bene, mi fido di lui. E io adesso riprendo il mio cammino, mi occupo del partito». A sera, dopo un'intera giornata di consultazioni parallele con i maggiorenti del Pd, Matteo Renzi ha tirato un respiro di sollievo. Manca ancora un ultimo, ma importante tassello: il colloquio con il quale indicare a Sergio Mattarella il nome del ministro degli Esteri. «Ma per Paolo è ormai cosa fatta...».

Renzi ha deciso di confermare ciò che aveva annunciato domenica notte dopo «la batosta» bruciante del 60% di No al referendum: «Mi faccio da parte, mi occupo del partito democratico e del suo rilancio. Alle elezioni si andrà per vincere...».
È proprio il timing del voto anticipato la questione che ha animato (e parecchio) ieri le discussioni a palazzo Chigi. Dario Franceschini, dopo la tregua siglata l'altra sera, è tornato alla carica per chiedere tempi «più lunghi». E così Maurizio Martina e Andrea Orlando. Per tutti un solo leitmotiv, identico a quello fatto filtrare dal capo dello Stato: «Per rifare la legge elettorale di Camera e Senato ci vuole tempo, non bastano un paio di mesi. È inutile stabilire fin da ora una data di scadenza del governo che nascerà. E poi ci sono tante scadenze internazionali da rispettare, compreso il G7 di fine maggio». Posizione analoga a quella di Angelino Alfano che, fiutando «un piccolo spiraglio», è tornato a proporre il Renzi-bis. Ma il segretario del Pd, determinato a andare al voto «al più presto, al massimo entro giugno», ha tenuto duro: «Ma non avete sentito le dichiarazioni dei Cinquestelle, della Lega, perfino di Berlusconi? Tutti spingono per un governo di breve durata e di elezioni ravvicinate. Insomma, non è Renzi che vuole il voto, è Renzi che non ha paura del voto!». Pausa, sorrisetto: «Un governo comunque sta in piedi finché ha la fiducia...».
Non è però questo l'epilogo che si immagina Renzi. Da Gentiloni, che non guida correnti e cui è legato da una stretta amicizia, non si aspetta «brutte sorprese»: «Paolo è una persona competente e leale». Ecco, la lealtà è il requisito che al segretario piace di più del probabile futuro premier. Ed è quello che l'ha spinto a puntare sul ministro degli Esteri. Eppure, durante il breve colloquio al Quirinale, Luigi Zanda, Ettore Rosato, Lorenzo Guerini non hanno fatto il nome di Gentiloni. Si sono limitati a confermare il rifiuto del segretario a restare a palazzo Chigi e la sua coerenza: «Si è dimesso come aveva annunciato, fatto insolito nel costume politico del Paese». E a offrire la disponibilità del Pd «a sostenere ogni sforzo del capo dello Stato per una rapida soluzione della crisi». La ragione di questa omissione: il segretario vorrebbe far apparire Gentiloni come una scelta del capo dello Stato e non del Pd.
Tra uno scatolone e l'altro, Renzi insieme a Luca Lotti si è occupato non solo della durata del nuovo governo, ma anche della sua ossatura. E l'intenzione è quella di «cambiare il meno possibile»: «Gli innesti devono essere pochi, se il nuovo esecutivo deve durare poco, inutile rivoluzionare la squadra». Come sarebbe inutile inserire ministri di peso, come Piero Fassino. Maria Elena Boschi? «Resterà».

Da domani, Renzi, comincerà davvero a occuparsi del partito: in Direzione, avvierà la fase congressuale dopo aver benedetto l'incarico a Gentiloni. E convocherà per domenica (probabilmente a Milano) l'Assemblea nazionale. Da lì scatterà la roadmap verso il congresso di metà marzo, che si concluderà con le primarie aperte. Obiettivo del segretario: ricevere una nuova investitura popolare e la candidatura a premier.
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Il Gazzettino