Oggi ricorre un evento doloroso per la storia d'Europa. L'11 Luglio 1940 il Parlamento Francese, a maggioranza schiacciante, conferì infatti a Philippe Pétain i pieni poteri,...
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RESISTENZA
La rituale litania nous sommes trahisrisuonava nel case come nelle fabbriche e nelle campagne. Un oscuro generale, Charles de Gaulle, aveva proclamato da Londra una resistenza a oltranza, ma pochi lo avevano udito e nessuno gli aveva creduto. La Gran Bretagna sembrava in ginocchio, e lo stesso Churchill faticava a contenere gli arrendevoli sostenitori di un accordo con Hitler. L'America era indifferente e lontana. Non ultima, l'Unione Sovietica, di fatto alleata ai tedeschi dopo il patto Ribbentrop - Molotov, plaudiva alla fine della Terza Repubblica, capitalista e borghese. Fu in questa situazione disperata che i Francesi si rivolsero a Philippe Pétain, l'eroe di Verdun.. Il venerando maresciallo, benché avviato alla novantina, aveva ancora il vigore sufficiente per reggere un governo con un minimo di ordine e di competenza. Ottenne anche una zona libera, con sovranità assoluta, che comprendeva la parte sud del Paese fino al Mediterraneo, salvo una modesta porzione assegnata all'Italia. Mantenne relazioni diplomatiche con tutto il mondo, compresi gli Stati Uniti, che spedirono come ambasciatore l'autorevole Ammiraglio Leahy, massimo consigliere militare di Roosevelt. Per un attimo, la riconquista della pace fece dimenticare ai francesi la perdita di Parigi. Dal canto suo, Pétain chiarì i termini del mutamento, sostituendo il tradizionale motto rivoluzionario con quello di Patria, Famiglia e Lavoro. La Chiesa gli diede il suo appoggio incondizionato e il popolo lo considerò un salvatore. Ma questa illusione durò poco.
SERVILISMO
Il regime, soprattutto quando fu affidato al primo ministro Pierre Laval, si dimostrò acquiescente fino al servilismo, e fornì ai nazisti una collaborazione che andò ben oltre la convenienza dettata dalla necessità. La milice si segnalò subito nella persecuzione dei partigiani e degli ebrei, e la Gestapo française della rue Lauriston superò in brutalità ed efficienza le nostre peggiori bande repubblichine. Il vertice dell'ignominia fu comunque raggiunto il 16 Luglio 1942, quando migliaia di poliziotti della Prefettura di Parigi circondarono i quartieri abitati da israeliti, trassero di casa oltre tredicimila uomini, donne e bambini, e li raggrupparono nel Velodromo d'Inverno, in condizioni inumane. I Poveretti furono accalcati sulle gradinate, senza potersi muovere né distendere. Qualcuno cercò di fuggire, e fu abbattuto sul posto. Cento di loro si suicidarono. Dopo quattro giorni di agonia, gli uomini furono divisi dalle donne e dai bambini: di questi ultimi, i tedeschi non sapevano cosa fare. Anche qui, disonore nel disonore, fu Laval a disporre che seguissero lo stesso destino dei genitori. Così cominciò per tutti il calvario verso Auschwitz e le camere a gas. Dei 13152 che partirono, ne tornarono pochi, forse meno di cento. I bambini morirono tutti. Questa retata rimase - e rimane - tristemente famosa, perché fu eseguita esclusivamente dalla polizia locale. Noi italiani, che attaccammo la Francia solo dopo la sua disfatta, pugnalandola alla schiena, e che ricordiamo con orrore i duecentoquarantaquattro ebrei di Venezia catturati dalla milizia di Salò, non abbiamo certo titolo per criticare i nostri cugini d'oltralpe.
RASTRELLAMENTO
Tuttavia possiamo consolarci che il rastrellamento del ghetto di Roma fu eseguito esclusivamente dai nazisti, che la grande maggioranza degli altri ebrei fu salvata dalla nostra popolazione e dai nostri sacerdoti, e che nella zona occupata dal nostro esercito, gli ebrei francesi, scappando da Vichy ,trovarono rifugio fino all'8 Settembre del 43. Dopo la guerra, la Francia portò alla sbarra i colpevoli. Pétain e Laval, accusati di tradimento, furono condannati a morte, anche se il primo fu graziato da De Gaulle, evitando, a differenza del secondo, il plotone di esecuzione. Tuttavia dovettero passare cinquant'anni prima che Jacques Chirac ammettesse le responsabilità della Francia nella persecuzione antisemita; e il presidente Macron, nel 75mo anniversario della Rafle du Vel d'Hiv riconobbe che non vi fu coinvolto un solo soldato tedesco. E ancora oggi la maggioranza dei francesi mantiene un verecondo silenzio su quel periodo di collaborazione attiva e talvolta entusiasta. Come sempre solo il tempo potrà mitigare queste ferite, e consentire agli storici un giudizio complessivo relativamente sereno.
Ma una lezione si può trarre subito. Vichy nacque sulle rovine di una Francia che aveva perduto la guerra prima ancora di cominciarla. L'aveva perduta per l'impreparazione strategica dei suoi generali, ma soprattutto per l'irresponsabile ingenuità di un accomodante pacifismo. Questo germe era stato inoculato dalla strage del 14-18, che aveva dilaniato un'intera generazione. Ma invece di stimolare una realistica riflessione sulle cause della guerra e sui mezzi per evitarne una ripetizione, aveva spinto la Francia a umiliare la Germania senza munirsi della forza per evitarne la rivincita. La Francia si cullò nell'illusione della impenetrabilità della sua linea Maginot, ma ancor più in quella che il bellicismo di Hitler potesse essere contenuto con la buona volontà negoziale: guardando cioè la realtà non com'è, ma come vorremmo che fosse. Un errore che si ripete sempre, e che se anche non si traduce in una guerra può condurre un Paese, e magari una civiltà, a un crollo improvviso o a una lenta consunzione.
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Il Gazzettino