Non aveva mai perdonato Felice Maniero. Ma Paolo Pattarello sì, quando, proprio per chiederle una sorta di assoluzione, si era presentato nel suo studio, apparentemente...
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Dottoressa Pavesi, quali sono le sue sensazioni all'indomani del blitz?
«Sono inorridita che si parli di mala, perché di mafia si tratta. C'era stata una sentenza, al termine di un lungo lavoro, del giudice Francesco Pavone, che diceva proprio questo. Le parole hanno un peso e un significato etimologico. Il termine mala è riconducibile a un gruppetto non organizzato di rapinatori, ma in presenza di un organigramma impostato, come quello afferente a Maniero, non si può che parlare di mafia».
Per lei è una differenza sostanziale?
«Sì, perché Cristina, la mia adorata nipote, è una vittima innocente della mafia. Non utilizzare questa parola, significa non volerlo riconoscere. Non possiamo fare gli struzzi e mettere la testa sotto la sabbia»,
Che atteggiamento aveva Pattarello quando era venuto nel suo ufficio a Treviso?
«Pareva sinceramente dispiaciuto. All'inizio ero incredula, ma poi, dopo avere parlato anche con la sua avvocatessa Evita Dalla Riccia, che lo aiutava e lo sosteneva, mi sono convinta che fosse davvero prostrato. Mi ha detto che viveva con 600 euro al mese e che era costretto a dare la biancheria da lavare a una vecchia morosa perchè non aveva denaro. Umanamente mi sono sentita di essere vicino a questa persona. Purtroppo avevo bisogno di trovare un po' di pace e di di credere che fosse pentita veramente. Invece in queste ore ho capito che non era così e ho ho visto che pure la sua legale, tanto affabile, sarebbe coinvolta nell'inchiesta...».
E adesso cosa pensa?
«Sono sconvolta, addolorata e incredula, ma non posso che allargare le braccia. Se questa è la verità, bisogna accettarla. Barbara Lancieri, giudice delle indagini preliminari, è bravissima, e di sicuro non ha condotto questa indagine per sensazionalismo. Spero quindi che stavolta si vada davvero fino in fondo. Purtroppo questa è una mala pianta difficile da estirpare. In carcere ci sono ancora Silvano Maritan e Felice Maniero, ma gli altri hanno continuato a fare i soldi con facilità, senza rispetto per le persone. Quel commando, in effetti, di lutti nella nostra famiglia ne ha causati due. Esattamente un anno dopo, cioè il 13 dicembre 1991, abbiamo seppellito mio fratello, papà di Cristina, morto di crepacuore, come hanno affermato i medici. Aveva 50 anni, era sano, ma non aveva retto al dolore. Ogni giorno andava al cimitero. Lui e la figlia sono morti per niente e non hanno mai avuto giustizia, visto che i componenti della banda Maniero per l'assalto al treno sono stati condannati soltanto a tre mesi».
Non è stato facile, quindi, perdonare Pattarello.
«Non l'ho perdonato a nome di Cristina, perchè una vittima non può esprimersi, ma mio. E adesso sono tormentata, di nuovo nel vortice di un dolore che non finisce mai. Non c'è rispetto per Cristina, ma neppure per il giudice Pavone e per la sua famiglia, che per colpa della mafia non hanno mai vissuto una vita normale».
E neppure lei, senza la nipote con cui era in simbiosi.
«Cristina è sempre qui con me. La sento vicino. Ho già addobbato l'albero di Natale e la prima stella che ho appeso è la sua».
Nicoletta Cozza
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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Il Gazzettino