Muore a 50 anni dopo la caduta in montagna

Muore a 50 anni dopo la caduta in montagna
LA TRAGEDIATARVISIO Una scivolata e l'amico che era con lui lo ha visto cadere. È morto così Giovanni Comisso, 50enne di Tarcento, molto conosciuto tra gli appassionati di...

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LA TRAGEDIA
TARVISIO Una scivolata e l'amico che era con lui lo ha visto cadere. È morto così Giovanni Comisso, 50enne di Tarcento, molto conosciuto tra gli appassionati di escursione. Proprio una gita in montagna, quella stessa montagna che tanto amava, gli è stata fatale: domenica pomeriggio si trovava sul versante sloveno del monte Mangart lungo la ferrata che porta in vetta, un percorso che aveva già affrontato diverse volte senza problemi. Comisso era a circa duemila metri quando, sotto gli occhi dell'amico che si era attardato di qualche metro per allacciarsi le scarpe, è scivolato. Immediati i soccorsi che hanno visto coinvolto anche un elicottero dell'esercito sloveno che però, a causa delle condizioni meteo avverse, non è potuto intervenire. Sul luogo dell'incidente è invece giunta una squadra del soccorso alpino di Bovec che, però, ha potuto solo constatare la morte del cinquantenne. Comisso, che lascia la moglie e due figli, viveva a Volpinis di Tarcento, era molto attivo nel sociale: iscritto alla sezione locale dell'Afds, lo scorso anno era stato insignito di un premio per il numero di donazioni fatte.

IL SOCCORSO
È andata decisamente meglio a un gruppo di tre alpinisti veneti che, a causa del buio e del maltempo, da domenica pomeriggio erano bloccati sulla Cima Strugova, nel gruppo del Mangart. I tre, M.P. di Conegliano, T.G. di Vittorio Veneto e R.C. di Santa Lucia di Piave tutti di età compresa tra i quaranta e i cinquant'anni, avevano in progetto di risalire la via Kugy, 500 metri di dislivello per 1500 di sviluppo, e scendere lungo la via della Vita. A causa di un errore nelle tempistiche, però, sono stati sorpresi dal buio e dalla neve. Un primo tentativo di soccorso era stato fatto già domenica attraverso il versante sloveno e il bivacco Busettini ma senza esito, si è quindi reso necessario un cambio di strategia. Gli alpinisti veneti hanno trascorso la notte in montagna con una temperatura di -10 gradi mentre i tecnici della stazione di Cave del Predil del Soccorso Alpino e della Guardia di Finanza di Sella Nevea hanno ripreso le operazioni alle prime luci dell'alba. Solo alle dieci, dopo tre ore di cammino, i soccorritori sono riusciti a raggiungere i tre e li hanno rifocillati. Nonostante le difficili condizioni meteo che hanno impedito l'invio dell'elisoccorso, è iniziata la seconda parte della lunga operazione, una delle più difficili degli ultimi vent'anni: quattro tecnici si sono legati agli alpinisti conducendoli con cautela lungo la via del rientro. A rendere tutto più insidioso il cosiddetto vetrato, un sottile strato di ghiaccio formatosi sulla roccia e ricoperto dalla neve. Dal campo base, intanto, erano partiti altri soccorritori, per un totale di circa una trentina di tenici coinvolti, incaricati di recuperare i materiali, rendere più leggera la cordata e attrezzare una corda fissa per la discesa del canale della Ponza. Il sospiro di sollievo, dopo circa cinque ore e mezza di discesa, attorno alle 15.30 quando alpinisti e soccorritori sono giunti sani e salvi al rifugio Zacchi. I tre veneti sono stati quindi accompagnati ai laghi di Fusine, dove ad attenderli c'erano alcuni parenti.

Tiziano Gualtieri
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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Il Gazzettino