Irina Bacal è morta guardando in faccia il suo assassino. È lo stesso Mihail Savciuc a riferire questo drammatico dettaglio, nel corso dell'interrogatorio di garanzia davanti al...
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Secondo la versione di Mihail, il delitto sarebbe stato commesso al culmine di una lite proprio sulla gravidanza, che Irina avrebbe voluto rivelare alla madre e alla nuova fidanzata del ragazzo. «A quel punto dichiara a verbale il moldavo io mi sono sentito perso, ho preso un sasso che era lì a terra e l'ho colpita alla tempia sinistra una sola volta. Ho visto Irina che perdeva sangue ed era già caduta per terra, già non si muoveva più; una volta che era a terra l'ho stretta al collo». Il giudice gli chiede se la donna fosse ancora viva, in quel momento. «Sì risponde il giovane perché ha aperto gli occhi; non ha detto niente». Sono i passaggi più truci dell'interrogatorio. Il gip Casciarri domanda all'indagato per quanto tempo abbia stretto le mani al collo della vittima. «Due o tre minuti sottolinea lui . Non aveva alcuna reazione...».
Così è spirata Irina. Per il giudice delle indagini preliminari ce n'è abbastanza per accogliere la tesi accusatoria dell'omicidio volontario aggravato, sostenuta dal pm Mara De Donà sulla base degli accertamenti compiuti dagli investigatori del commissariato di Conegliano. «Il dolo omicidiario argomenta Casciarri appare del tutto evidente solo che si consideri la violenza del colpo inferto alla vittima con una pietra e poi il soffocamento protratto per stessa ammissione del Savciuc per 2/3 minuti, indice di una volontà ferma e finalizzata al conseguimento della morte della giovane e non di un mero atto d'impeto».
Un ragazzo diventato assassino, molto determinato e affatto pentito, annota il gip: «Nell'immediatezza il Savciuc non ha avuto alcun segno di resipiscenza, non ha cercato di soccorrere la vittima o aiuto ma si è preoccupato solo di occultare la salma, trascinandola per una ventina di metri e coprendola con rami e foglie. L'indagato ha, inoltre, dimostrato calcolo e freddezza, preoccupandosi di cancellare le tracce del delitto (gettando nel fiume il sasso e la borsetta della vittima)». Ecco perché gli arresti domiciliari non sono adeguati: non eviterebbero «il pericolo di reiterazione e di ulteriori raptus di violenza».
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Il Gazzettino