«Si, inutile negarlo. Ritengo che se avessimo ristretto le zone rosse alle aree dove effettivamente il contagio era consistente avremmo fatto meno male al nostro Paese». Parole...
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Signor Cursano limitando le chiusure al Nord le sue imprese di bar e ristorazione avrebbero lavorato di più?
«Sui se è sempre facile parlare. Io parlo per la categoria e mi permetto di delineare un caso estremo per far capire cosa penso: abbiamo trattato la ristorazione della Sicilia e della Sardegna come quella della Lombardia anche se - come ci ha detto l'Istat qualche giorno fa - i contagiati erano il 7% dei lombardi e solo lo 0,3% dei siciliani».
Dunque lei pensa che il lockdown generale si stato un errore?
«In alcune aree le misure potevano essere più articolate. Anche perché i danni di queste decisioni sono stati e saranno sproporzionati».
Può fare qualche cifra?
«Tutte le istituzioni internazionali ipotizzano un calo del PIl italiano intorno al 10%. Ma per la ristorazione il danno è assai più rilevante perché il calo di domanda si prolungherà e perché per molti locali non ha senso restare aperti».
Numeri?
«La domanda del nostro settore è stata di 85 miliardi nel 2019. Quest'anno nella migliore delle ipotesi dovrebbe arrivare a 62,6 miliardi con un calo del 26,5%. nella peggiore, con nuove restrizioni, scenderemmo a 57,5 con un arretramento del 32,5%».
Cosa proponete?
«Il governo di fronte a un cambiamento di scenario epocale deve prendere decisioni altrettanto epocali e rimettere in moto l'economia».
Cosa vuol dire?
« E' assurdo lasciar fallire fior di aziende non per responsabilità di scelte imprenditoriali sbagliate ma per regole imposte da altre ragioni. Noi non scartiamo l'idea di rivolgerci ai Tribunali per difendere l'esistenza delle nostre imprese».
D.Pir.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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Il Gazzettino