Manuel Valls parla ancora di «guerra», di «scontro di civiltà», di «minaccia grave», di «tutti i servizi dello stato mobilitati», ma nei locali della polizia giudiziaria...
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Una fonte giudiziaria ha ammesso con Le Monde che «lo Stato Islamico non ha rivendicato la sua azione» e che «in genere l'organizzazione terrorista chiede di uccidere poliziotti, militari, ebrei e non imprenditori di piccole o medie imprese». Senza contare che «le due bandiere islamiche ritrovate ai lati della testa di Hervé Cornara riportano frasi della shahada, la professione di fede musulmana, ma non hanno niente a che vedere con l'Isis».
Ieri Salhi è tornato con gli inquirenti nel suo domicilio di Saint Priest, comune dell'hinterland lionese. Per la prima volta, si è intravisto questo uomo alto e robusto, i capelli ricci e neri, forse una barba. Per ora soltanto un portatile, un tablet, un telefono cellulare con alcune memory card sono stati sequestrati, ma niente armi né materiale di propaganda. Nell'auto gli agenti hanno invece recuperato il coltello servito alla decapitazione e una pistola giocattolo, forse usata per minacciare e sequestrare il manager. Nessuna traccia di complici.
Qualche giorno prima dell'attentato, tra Salhi e il suo capo Cornara ci sarebbe stato un piccolo scontro. Quanto basta per giustificare la decapitazione? L'uomo sarebbe stato ucciso e decapitato su un parcheggio, mezz'ora prima dell'arrivo del furgone alla sede dell'Air Products.
Salhi ha evocato anche «problemi con la moglie», che ieri è stara rilasciata dopo due giorni di stato di fermo. Pare invece certo che la foto con la testa sia stata inviata a Sebastien Younes, un francese noto ai servizi francesi che si trova in Siria dal 2014 per combattere con l'Isis. Una vecchia conoscenza dei tempi di Pontarlier, quando Salhi frequentava la «banda di Ali», nome di battaglia di Frederic Jean Salvi, un francese convertito, accusato di aver partecipato ad attentati in Indonesia e ora ricercato dall'Interpol.
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Il Gazzettino