«Mai più un caso Feinar» Doglioni chiede di cambiare

«Mai più un caso Feinar» Doglioni chiede di cambiare
BELLUNO - (A.Tr.) «Contro la desertificazione del centro non parole ma fatti», ovvero mai più un altro caso Feinar. Ne è convinto il presidente di Ascom Belluno Paolo...

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BELLUNO - (A.Tr.) «Contro la desertificazione del centro non parole ma fatti», ovvero mai più un altro caso Feinar. Ne è convinto il presidente di Ascom Belluno Paolo Doglioni per il quale il trasloco dei centoventi lavoratori dell'azienda di servizi dal centro alla periferia, e il conseguente calo di lavoro per bar e locali delle piazze, è il ripetersi di un film già visto. Quello del lento spopolamento del cuore storico di Belluno, contro cui sta conducendo da anni una battaglia. «Sono contrario in maniera assoluta - spiega - allo spostamento delle attività fuori dal centro. Il caso Feinar è una frittata ormai fatta, le uova non si possono più ricomporre, ma non deve succedere più e perché questo accada occorre andare oltre alle belle enunciazioni per passare ai fatti. Temo la desertificazione della città, per questo ho portato il tema all'attenzione del sindaco Jacopo Massaro con cui ho già avuto diversi incontri ma, ripeto, ora si deve agire. Il benessere di una città si ha dove i piccoli negozi vivono e dove si riesce a coniugare l'interesse di tutte le categorie. L'Ascom è vicina ai suoi associati e vuole favorirne la sopravvivenza per questo dico che in questo modo ci stiamo dando la zappa giù per i piedi». Il trasloco della Feinar risale ai primi di settembre quando i centoventi lavoratori per anni sparsi tra gli uffici di via San Lucano, via Mezzaterra, via del Piave e piazzale Resistenza hanno fatto armi e bagagli per spostarsi nella grande struttura realizzata in via Mier, nella piana dove un tempo sorgeva la San Remo. Un edificio grande, tanto da poterci realizzare la mensa all'interno. Per i gestori di bar e ristoranti del centro la novità, da mesi temuta e attesa, ha significato coperti in meno a pranzo, meno caffè, meno aperitivi post lavoro, una perdita quantificabile attorno al 30-40% che, di questi tempi, davvero non ci voleva.
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Il Gazzettino