Luca Campigotto e la fotografia. È una storia lunga, quella della fotografia, perché bisognerebbe partire dalla magia laica di Daguerre nel 1839, a quel tempo apprezzata...
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Luca Campigotto è con tutta evidenza un grande fotografo e un artista perché la sua ricerca rivela chiaramente, oltre le intenzioni inevitabilmente documentarie, anche valenze fortemente estetiche. Nel suo caso non ha perciò molto senso, come ha scritto Giulio Carlo Argan già nel 1980, porsi domande sulle caratteristiche tecniche delle sue immagini, perché sarebbe come chiedere le caratteristiche della pittura ad olio a proposito del lavoro di un pittore. È dunque un artista che utilizza i mezzi tecnici del suo tempo, cioè la fotografia, come avviene peraltro per grandi video-artisti quali, per citarne solo alcuni, Nam June Paik, Fabrizio Plessi e Bill Viola. È solo nell'opera compiuta, qualunque sia il procedimento utilizzato, che si può dunque riconoscere se essa rivela un autentico valore estetico.
Per parlare di pura fotografia, concepita in bianco e nero, si può citare Blind, cioè cieco, una famosa immagine di Paul Strand, che potrebbe far dire che la fotografia è ancora un linguaggio di denuncia. Come peraltro quelle, per citare solo alcuni nomi, di Cartier Bresson ed Elliot Herwitt, Diane Arbus e Berengo Gardin, Shirin Neshat e Ferdinando Scianna. Luca Campigotto appartiene ad un altro emisfero della fotografia, quella che potremmo chiamare della grande veduta, a colori e di grande formato. Ha realizzato in questo campo immagini impressionanti di Venezia e New York, dei luoghi montani della Grande Guerra e della Cina, Pechino in particolare. Restituendo in tal modo visioni impossibili con altri mezzi, in una identificazione emotiva e culturale che testimonia davvero il suo personale sogno dell'arte.
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Il Gazzettino