LO SCENARIO TOKYO Si dice che la sublimazione del bello sia quando modernità

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LO SCENARIOTOKYO Si dice che la sublimazione del bello sia quando modernità ed eredità del passato riescono a fondersi in armonia. Ecco, l'armonia è la chiave. Se l'oggi è...

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LO SCENARIO
TOKYO Si dice che la sublimazione del bello sia quando modernità ed eredità del passato riescono a fondersi in armonia. Ecco, l'armonia è la chiave. Se l'oggi è colorato e cancella i confini mentre le spinte dei tempi che furono sono macchie che nemmeno i giorni, i mesi e gli anni riescono a cancellare, la fusione è imperfetta. È un contrasto di opposti che non si attraggono. Le Olimpiadi di Tokyo vogliono essere apertura, hanno sempre voluto esserlo. Questa è l'edizione che consegna l'accensione del braciere non a un mito del passato ma a Naomi Osaka, una campionessa di tennis di 23 anni che difende i diritti dei deboli come una leonessa e che come una leonessa ferita mostra al mondo la sua depressione e le sue fragilità emotive. È l'Olimpiade che permette a Lauren Hubbard di essere la prima transgender a competere con le donne, che sceglie il sorriso di Paola Egonu come simbolo di un mondo sfaccettato e libero e che autorizza gli atleti a sfilare con i braccialetti e le fasce arcobaleno simbolo del movimento Lgbt. È l'Olimpiade di un futuro che è già presente, che vuole allargarsi a dismisura e includere tutte le diversità del mondo. È l'Olimpiade di tutti i colori, sporcata dalla secchiata di intolleranza del judoka algerino Fethi Nourine. Che rifiuta di affrontare l'avversario israeliano assegnatogli dal sorteggio e abbandona i Giochi. Fatalmente: nel giorno in cui Tokyo, in mondovisione, ricorda gli atleti israeliani uccisi a Monaco 1972 nell'attacco terroristico fra i più efferati della storia che, alla fine, costò la vita a 17 persone.

LAUREN, PAOLA E NAOMI
Laddove il Covid ha martellato per chiudere, il Cio ha lavorato in questi mesi per aprire. Non solo fisicamente palazzetti, stadi, campi di gara quanto soprattutto ideologicamente. L'ammissione alle gare femminili di Lauren Hubbard, atleta neozelandese del sollevamenti pesi, nata 43 anni fa come Gavin, è qualcosa di rivoluzionario. A tal punto che il dibattito sulla bontà della decisione non si è ancora chiuso. Una pesista transgender sarà favorita o no, sarà più potente delle colleghe anche sottostando ai criteri di ammissione del Cio - o no? Questo è un dibattito che riguarda i risultati sportivi, ma è la portata sociale a fare la differenza. Il riconoscimento della possibilità di garantire a ognuno di poter essere come vuole. Ci si è arrivati anche grazie alle battaglie di Caster Semenya e altre. Ma ci si è arrivati. Rome wasn't built in a day, Roma non è stata costruita in un giorno. Lauren a Tokyo è unica, Naomi e Paola invece sono simili, altezza a parte. Osaka, giapponesina d'America, Egonu, italiana dal sangue nigeriano: le generazioni globali. Naomi che si rifiuta di scendere in campo dopo l'uccisione di George Floyd, Paola che ammette senza barriere di aver amato una donna e di poter amare un uomo, Naomi, ancora, che lascia il Roland Garros raccontando a tutti i propri attacchi di panico. E poi c'è Nike. Chi? Nike Lorenz, capitana della nazionale tedesca di hockey su prato che, emulando il collega del calcio Manuel Neuer, aveva chiesto al Cio di poter scendere in campo con l'arcobaleno Lgbt sul braccio. Da Losanna sì, la stessa Losanna che ha accettato anche gli inginocchiamenti per Black Lives Matter delle calciatrici di Gran Bretagna, Usa, Svezia e Cile è arrivato il sì. E Nike posta: «L'amore vince sempre».
L'ALTRA FACCIA

Cosa purtroppo non vera. Come ha dimostrato il judoka algerino Fethi Nourine. I sorteggi del tabellone di judo gli assegnavano una possibile seconda sfida con l'israeliano Tohar Butbul. «La causa palestinese è più grande di tutto questo», ha detto il 30enne iscritto alla categoria dei 73 chilogrammi prima di ritirarsi dalle Olimpiadi, conquistate con fatica da campione africano. Ha parlato di choc, di fulmine a ciel sereno. Lui che già nel 2019, per lo stesso motivo, si ritirò dai Mondiali. Pure quelli a Tokyo. Per non sporcarsi le mani, disse. E pace all'anima delle diciassette vittime di Monaco '72.
G. Cor.
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Il Gazzettino