Lo scenario socio-economico si complica con il passare delle settimana, invece di

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Lo scenario socio-economico si complica con il passare delle settimana, invece di semplificarsi e non fa intravedere la Montiana luce in fondo al tunnel. A marzo o al massimo a giugno la libertà di licenziare sarà operativa, il Pil previsto in crescita annuale intorno al +4% potrebbe essere ridimensionato, causa ritardi vaccinazioni e micro ma costanti lockdown, la domanda in tal caso seguirebbe l'iter del ribasso e il manifatturiero destinato entro confine, pari al 17% di quello totalmente prodotto, sarebbe in ambasce, con la conseguenza di allargare il perimetro dei default e implementazione della Cig, ovvero un insieme di componenti che se si dovessero realizzare manderebbero il possibile incremento del Pil a ridursi sensibilmente. A far fronte a questo scenario ci potrà essere solo l'entrata in vigore dei potenziali generati dalla risorse della prima tranche del next generation, sicuramente null'altro. Anzi il calo delle attività produttive e commerciali del 2020 avrà portato ad un consistente calo delle entrate fiscali e le scadenze costantemente rinviate dovranno riavere nuove rateizzazioni di lungo termine. Fare presto e fare bene per il plan è forse l'unica ancora di salvezza per evitare un nuovo capitombolo della nostra economia. Ad oggi la politica vuole allungare il brodo e posizionarsi su altri scenari che riguardano scadenze elettorali, quelle dei grandi Comuni e del Presidente della Repubblica nella primavera 2022, non rendendosi conto che il tempo attuale è l'unico che rimane per evitare la depressione economica, vicina se non si da fiato alle trombe del next generation operating. No si può aspettare la scadenza di marzo per presentare il piano, è indispensabile farlo entro gennaio . Inutile ritornare sulle molteplici magagne che affliggono la nostra ben amata penisola, ma questa volta il prezzo di un rinvio della messa in atto di iniziative strutturali, peraltro sostenute dalle risorse comunitarie, porterebbe ad uno sfracello di dimensioni epocali. Evitare un esasperato pessimismo è opportuno, disconoscere la realtà dei fatti è sicuramente peggio. I 200 e passa miliardi di Euro, se messi a fattor comune per innovare, modernizzare ma anche salvaguardare il Made in Italy, potrebbero valere 2,5/3 volte, ovvero un terzo del nostro Pil, distribuirle per raccogliere consenso spicciolo, esigenza intravista proprio in questi giorni da tutti i protagonisti del palcoscenico politico, sarebbe peccato mortale. Le costruzioni e gli interventi strutturali possono dar seguito a multipli fino a 4 volte l'investimento, quelli in istruzione, salute e assistenza da 2 a 3 volte, anche se a medio termine, da quelli in innovazione, partendo dai ritardi attuali, potrebbero arrivare fino a 5/6 volte. Una produzione industriale digitalizzata può realizzare il massimo, ma ahimè si porta dietro il rischio dell'esubero personale, che non può che essere convertito ad altre mansioni, evitando, com'è successo nel 2012, di far fiorire una catena di nuovi esercizi commerciali deboli sia professionalmente che finanziariamente e quindi destinate alle rapide chiusure. Bene sarebbe che la politica si concentrasse sui numeri dell'economia e meno su quelli del consenso, questo arriverà a chi avrà saputo trasformare il next generation in sviluppo.

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Il Gazzettino