Lo psicologo dei campioni: «Una grave infrazione ma non chiamatelo doping»

Lo psicologo dei campioni: «Una grave infrazione ma non chiamatelo doping»
TREVISO - «Quello di La'Marshall Corbett è uno sgarro, non un caso...

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TREVISO - «Quello di La'Marshall Corbett è uno sgarro, non un caso di doping. È un'infrazione gravissima, ma non un atto correlato allo sport». Sulla questione è netto Guido Bresolin, psicologo dello sport, due studi a Pederobba e Bassano e una quotidianità a contatto con professionisti del calcio, del tennis, del golf. La differenza è sostanziale per intendere il quadro psicologico dell'atleta, ma anche per organizzare una terapia. «Ci troviamo spesso ad affrontare casi di sportivi che assumono sostanze stupefacenti per aumentare la performance sportiva -spiega- apparentemente incuranti dei rischi per la salute e per l'attività lavorativa. Il caso di Corbett è diverso: il suo è stato, con tutta probabilità, uno sballo del sabato sera, una ragazzata. Con delle conseguenze però. E trovo giusto che la società si smarchi». Eppure il quadro di inserimento sociale del 27enne statunitense non lascia trasparire alcuna crepa. «In effetti si sente ripetere che il quadro d'inserimento era ottimo e quindi va scartata l'ipotesi disagio. È vero però che nessuno può conoscere in profondità il vero quadro psicologico. In fondo l'atleta era arrivato da poco, in un habitat in qualche modo estraneo». Spesso, aggiunge il terapeuta, ad agire sono motivazioni diverse: un giro di amici extra-squadra e la noia possono motivare leggerezze di questo tipo. «Se la motivazione, come è chiarissimo, non è sportiva, lo psicologo non può lavorare sull'ansia da prestazione. Però, all'opposto, l'assunzione di cannabis potrebbe far anche supporre la voglia di relax estremo per fuggire a una situazione di stress -argomenta- Nuova squadra, nuova città, risultati da portare a casa possono essere un fardello pesante». Ora, con la sospensione, per Corbett si apre un periodo difficile. «Ma -conclude Bresolin- a volte la classica tegola sulla testa può diventare un'occasione: ora l'atleta dovrebbe affidarsi ad un team di esperti per strutturare a livello cognitivo l'accaduto. Spesso infatti ragazzi di questo tipo, con innate qualità atletiche, affrontano il successo con eccessiva disinvoltura. Ed episodi come questo, al netto dell'imbarazzo per la società e della delusione dei tifosi, possono insegnare la differenza tra gioco e lavoro».

Elena Filini Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino