La prima notte è una notte ad occhi spalancati. Il buio impedisce di vedere lo spettacolo rivoltante di quell'ammasso di sassi che fino a ventiquattro fa si chiamava Pescara del...
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Hanno distribuito un pasto caldo, hanno dato coperte e vestiti, hanno dato la buonanotte agli sfollati. Ma nessuno dorme. Dalle tende arrivano bisbigli e lamenti, e qualche urlo quando le scosse di assestamento battono più forte del solito. Quella delle 5.17 del mattino è potente, c'è perfino chi esce di corsa dalle tende come scappando da un pericolo che non c'è, come se quel tetto di telo blu sopra la testa potesse avere la forza devastatrice e assassina dei tetti crollati la notte precedente.
Fabio è alla sua millesima sigaretta, cammina avanti e indietro in mezzo alla tendopoli. Butta la cicca e dopo un po' ne accende un'altra. La notte porta ansia e cattivi presagi. E poi dopo una giornata frenetica, isterica, dolente e disperata è il primo momento in cui ci si ferma a pensare, a immaginare un futuro che adesso è inimmaginabile: «Cosa faremo? E chi lo sa. Non abbiamo più niente. Io non so neanche se rimarremo qui. Perché continuare a vivere in una terra che ci vuole male?». Ma andare via vorrebbe dire cominciare una nuova vita, un nuovo lavoro: «E chi lo dà a me un nuovo lavoro? Ho 55 anni, faccio l'impiegato, non so fare altro. Fossi un elettricista o un idraulico potrei provare a cambiare, ma così L'unica cosa che so è che tutto è cambiato. Ma in peggio».
Ogni tenda ha sei posti letto e la Protezione Civile immaginava che fossero almeno un centinaio i senzatetto. Quelli che affollavano le giornate estive di Pescara del Tronto, però, erano per lo più parenti in visita estiva. Chi si è salvato è già ripartito per casa, Roma, o Napoli, o Ancona. Gli altri, quelli che non sono morti e non hanno un posto dove stare, sono qualche decina. Campi simili sono stati allestiti a Grisciano, cinque chilometri più su, e a Arquata del Tronto, cinque chilometri più giù. Molte tende dunque sono vuote e, paradossalmente, questo spopolamento rende ancora più cupa la notte, quasi un presagio di abbandono: «Siamo pochi, conteremo poco».
Tiziana Paci a Pescara del Tronto gestisce una macelleria. O meglio, gestiva: perché la macelleria non c'è più, e probabilmente non ci saranno più clienti per mandarla avanti. Ma lei per ora non ci pensa. Pensa alla sua fortuna: «La mia casa è una delle poche rimaste in piedi, per quanto inagibile». Pensa alla fortuna dei figli: «Erano andati in una discoteca all'aperto di Spelonga, con gli amici, e quando è arrivato il terremoto erano in piazza a ballare». Pensa alla sfortuna del marito, Antonio. Lui si è salvato, ma proprio mentre sulla tendopoli scendeva la notte il padre, ottantenne, ha avuto un'ischemia, l'hanno portato d'urgenza all'ospedale di Ancona, ed è gravissimo: «Quello che non ha fatto il terremoto lo ha fatto il destino».
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Il Gazzettino