Le intercettazioni: «Come facciamo a diventare mafiosi?»

Le intercettazioni: «Come facciamo a diventare mafiosi?»
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LE CARTE
VENEZIA Niente riti da romanzo, «l'importante è essere fidelizzati». «E per essere fidelizzati è necessaria una certa condotta, bisogna partecipare a determinate azioni delittuose?», chiede il pm Antimafia Lucia D'Alessandro. «Dottoressa, bisogna fare falsa fatturazione, fare bancarotta fraudolenta».

Soldi, cartiere, Fisco frodato e lo Stato che ce ne rimette. Così si diventa ndranghetisti al nord. A parlare è il pentito Antonio Valerio, profondo conoscitore della cosca Grande Aracri essendone stato per una vita intera uno degli elementi di spicco. Uno, per dare la caratura del personaggio, divenuto famoso in seguito all'intercettazione telefonica in cui, insieme a Gaetano Blasco, rideva del terremoto appena avvenuto in Emilia Romagna del 2012 che avrebbe fruttato ingenti guadagni. È a lui, nome di spicco anche nell' inchiesta Aemilia, il maxi processo della procura Antimafia di Bologna che ha sventrato le infiltrazioni della ndrangheta in Emilia Romagna, che si rivolgono il sostituto procuratore Antimafia di Venezia, Lucia D'Alessandro, e le squadre mobili di Venezia e Verona, dopo aver notato gli innumerevoli punti di contratto tra la cosca veronese e quella emiliana.
Chi entra nel dettaglio di come funziona, è Giuseppe Giglio, un altro grande pentito di Aemilia, mago delle cartiere, che spiega come una falsa fattura sia più importante - qui, al nord - di un agguato in strada e di come il guadagno sia sull'Iva. «Un'azienda arriva a pagare il 65-70% di tasse - ammette Giglio davanti alla polizia e al pm - Quindi significa che uno riceva una fattura di 100mila euro e si trova a incassare 70mila euro. Attenzione...l'Iva non va considerata perché è un dare e avere...Lei riceve una fattura da 122mila euro compresa di Iva? Io quando vengo a portargli i soldi non è che le porto 122mila euro, le porto 100mila euro. Io c'ho il 22% del guadagno».
Sempre Giglio svela come le cartiere siano fondamentali a questo tipo di raggiro: «se costituisco una società oggi ci vuole un anno perché io faccia il bilancio e la guardia di finanza prima che si arriva, ci mette un anno e mezzo, due». «La guardia di finanza nemmeno se ne accorge?», chiede il pm. «Esatto», è la risposta del pentito.
Ma la «mafia silente», come viene chiamata nell'ordinanza, ha anche bisogno di mostrare i muscoli, oltre ad una raffinatezza economica. E non ha problemi a farlo, picchiando o, soprattutrto, minacciando. A chi si rifiuta di cedere ad una proposta dicendosi pronto a denunciate, Domenico Mercurio, uno dei capi della cosca veronese, manda un sms che, scrive il gip, «ha in sé sia il messaggio intimidatorio che il virile ricatto mafioso». «Noi la tua famiglia la rispettiamo - è il testo del messaggio - perché anche noi abbiamo dei figli e per colpa tua possono toccare i nostri figli, purtroppo per la tua disonestà qualcosa potrebbe succedere ai nostri figli, così i carabinieri che tu hai avvisato sapranno a chi ringraziare cosa che noi abbiamo già dichiarato al tribunale di Verona, la quale ci hanno già fatto capire l'onestà della sacra famiglia Zanfisi».
I muscoli sono anche il continuo richiamo alla casa madre di Isola Capo Rizzuto. Ancora Mercurio, parlando ad un dipendente di banca, per essere sicuro che passi il suo tenore criminale, dice: «Hai presenete l'operazione che hanno a Isola Capo Rizzuto? Che hanno...quella che hanno arrestato il prete e tutta quella bella compagnia lì...io sono appena uscito».
E a una donna di Este, nel Padovano, titolare di un'azienda, gli emissario di Giardino ammettono: «Sappiamo che hai tre figli».
GLI INTERROGATORI

Intanto sono iniziati ieri gli interrogatori. Hanno risposto, negando ogni accusa, Francesco Vallone; Antonella Bova, moglie di Antonio Giardino, il boss della cosca; e Alfredo Giardino. Hanno scelto di non rispondere al gip Giovanni Ruggero Giardino, Antonio Irco e Pasquale Duranti. Lunedì, a Udine toccherà a Nicola Toffanin.
Nicola Munaro
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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Il Gazzettino