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PORDENONE Dai 13 ai 25 anni ha collezionato 26 sentenze di condanna per furto, tentato furto, uso di atti falsi o false generalità. L'ultima risale al 2007, quando ai poliziotti della Questura di Pordenone si presentò con uno dei suoi 12 alias. E l'ultimo arresto risale al 14 marzo 2013, quando fu arrestata a Bologna. Fu scarcerata il giorno dopo perchè era incinta, le sue condizioni non era pertanto compatibili con il regime carcerario. Silvana Carich, 36 anni, croata nata a Sisak, da allora probabilmente non è più tornata in Italia per evitare di finire in carcere. Sarebbe infatti bastato un controllo di polizia per scoprire che tra il 1996 e il 2007 aveva accumulato complessivamente 18 anni 9 mesi e 24 giorni di reclusione: due anni e sette mesi li ha già passati in carcere e grazie all'indulto la pena si è ridotta a 13 anni 2 mesi e 24 giorni. L'ultima sentenza, quella pordenonese, è andata in esecuzione trascinandosi dietro tutte le altre.
L'Ufficio esecuzione della Procura ha raccolto la storia giudiziaria di Silvana Carich in due faldoni che scoppiano di atti. E per lei il procuratore Raffaele Tito ha firmato oltre una ventina di mandati di arresto europeo. L'8 novembre è stata controllata dalla polizia a Bjelovar. Il suo nome è stato inserito nelle banche dati e sono spuntati i mandati di cattura. La donna è stata arrestata e messa a disposizione dell'autorità giudiziaria italiana. Verrà estradata affinchè sconti la pena nelle carceri italiane.
La Carich era un'esperta di furti negli appartamenti. La mandavano a rubare monili in oro: nei suoi primi capi di imputazione trattati dai Tribunali per i minorenni di Bologna, Brescia, Torino, Bergamo, Perugia, Trento, Venezia e Bolzano i danni erano quantificati ancora in lire. I primi furti, infatti, risalgono al 1995. Ha continuato a rubare, spesso approfittando della maternità per evitare il carcere. La carriera di queste ladre seriali, infatti, frequentemente si interrompe quando non diventano più mamme. È come fosse un meccanismo consolidato all'interno di questi clan: nel momento in cui le donne rischiano la galera, non fanno più ritorno in Italia sperando di aver dribblato la giustizia.
Il procuratore Tito, attraverso l'Ufficio esecuzione e le squadre catturandi della Squadra Mobile e del Nucleo investigativo dei carabinieri, ha invece istituito un pool che dà la caccia ai latitanti: ladri, evasori fiscali che riparano all'estero, rapinatori, ma anche persone che devono scontare pene inflitte per reati minori. «Non è giusto - osserva il procuratore - che le sentenze non abbiano alcun seguito. La certezza della pena è importante, altrimenti il cittadino non ha più fiducia nella giustizia».
Cristina Antonutti
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Il Gazzettino