La sfida dei sindaci: con nuove regole rinascita in otto anni

La sfida dei sindaci: con nuove regole rinascita in otto anni
LA CERIMONIA AMATRICE (RIETI) «Scusa». Una parola spesso difficile da pronunciare e che lo è ancora di più davanti a chi con fatica cerca di ricominciare o chi si sta...

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LA CERIMONIA
AMATRICE (RIETI) «Scusa». Una parola spesso difficile da pronunciare e che lo è ancora di più davanti a chi con fatica cerca di ricominciare o chi si sta rassegnando a vedere la propria storia affondare tra le macerie. Anche perché ad Amatrice, in questi tre anni, di frasi di circostanza ne hanno sentite fin troppe su una ricostruzione promessa e attuata solo al 4%. Per quelle «parole vuote, false e prive di significato che abbiamo detto e ascoltato» il vescovo di Rieti, Domenico Pompili, ha chiesto «perdono» aprendo la messa con cui ieri mattina nel palazzetto dello Sport di Amatrice si è reso omaggio alle 249 vittime del terremoto delle 3.36 del 24 agosto 2016. Un'omelia che è diventata un duro monito per la politica e per il Governo proprio nei giorni in cui la politica sta decidendo sulle sorti del governo del Paese. L'ennesimo stallo - dopo tre esecutivi e altrettanti commissari - che preoccupa chi combatte dalle zone terremotate per dare un futuro a queste comunità decimate. «In questi tre anni - ha detto il vescovo nell'omelia - sono prevalsi i punti di vista diversi, anche a motivo dell'alternarsi dei Governi. E la tendenza ogni volta è stata quella di ricominciare daccapo, nel modo esattamente contrario a chi è venuto prima. Senza un progetto, senza un respiro lungo, non si va da nessuna parte. E come si vede in questi giorni l'Italia stessa boccheggia».

IL VOLTO DELL'ITALIA
Una Italia «che senza i borghi dell'Appennino non è più la stessa», un problema di scarsa attenzione alle aree interne e di «visione che manca», insiste Pompili le cui parole forti suscitano l'applauso della gente che affolla il palazzetto anche se la maggior parte dei familiari delle vittime aveva preferito partecipare alla cerimonia privata nella notte, la fiaccolata che per la prima volta dopo il sisma ha attraversato la zona rossa e corso Umberto I, sotto la torre civica rimasta in mezzo a una spianata a simboleggiare la voglia di una comunità di rimanere in piedi. «È la constatazione a occhio nudo che siamo ancora al palo - chiarisce a margine il vescovo - e che qualcosa non ha funzionato. Le parole roboanti dei primi mesi sono state smentite dai fatti». I destinatari del messaggio del presule sono tanti ma ad emergere è la delusione nei confronti dell'ultimo Governo. Nei giorni della crisi lo stesso ex premier Conte era stato criticato per aver dimenticato i terremotati nei discorsi alle Camere. «Questo Governo aveva detto di voler tenere aperto un canale di ascolto - attacca Pompili - ma ciò non si è tradotto in qualcosa di concreto. La verità è che il terremoto non è stato presente nel dibattito politico». «Dopo il crollo del ponte Morandi siamo finiti in una zona d'ombra e il terremoto derubricato alla prassi», osserva ancora il vescovo che vede proprio nei drammatici fatti di Genova le contraddizioni della politica. «Lì sono state fatte scelte controcorrente - dice - qui a livello di impianto normativo occorre qualcosa di eccezionale perché il lavorare dentro il seminato si è rivelato del tutto inadeguato». Una sveglia che dà voce alle richieste dei sindaci del cratere («con procedure snelle ricostruiamo in 8-10 anni», dice quello di Amatrice, Fontanella) anche se sono le stesse parole del sottosegretario alla Ricostruzione, Vito Crimi a confermare l'incertezza del momento: «A settembre avevo in programma di riproporre una nuova visione. Una rivoluzione che sposti a valle la parte dei controlli e consenta alla presentazione di una pratica l'inizio dei lavori. Mi preoccuperò di seguire questa operazione a prescindere dal ruolo che avrò».
IL FUTURO

Futuro indeterminato. O forse solo altre parole che non vuole sentire una comunità che non ha mai protestato in maniera eclatante perché di lacrime per piangersi addosso non ne ha più. «Ma quando finiranno gli incentivi dello Stato allora qui la gente capirà che bisognava protestare prima», dice Giuseppe, guardia giurata di 45 anni che presto trasferirà la famiglia da Accumoli a Rieti. Non il primo, né purtroppo l'ultimo.
Vincenzo Carducci
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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Il Gazzettino