LA PRIMA LINEA BELLUNO «Lavorare vicini al virus è difficilissimo.

LA PRIMA LINEA BELLUNO «Lavorare vicini al virus è difficilissimo.
LA PRIMA LINEABELLUNO «Lavorare vicini al virus è difficilissimo. C'è prima di tutto una componente empatica. Inizialmente non era paura del virus: gli operatori da anni...

OFFERTA SPECIALE

2 ANNI
99,98€
40€
Per 2 anni
ATTIVA SUBITO
OFFERTA MIGLIORE
ANNUALE
49,99€
19€
Per 1 anno
ATTIVA SUBITO
 
MENSILE
4,99€
1€ AL MESE
Per 3 mesi
ATTIVA SUBITO

OFFERTA SPECIALE

OFFERTA SPECIALE
MENSILE
4,99€
1€ AL MESE
Per 3 mesi
ATTIVA SUBITO
 
ANNUALE
49,99€
11,99€
Per 1 anno
ATTIVA SUBITO
2 ANNI
99,98€
29€
Per 2 anni
ATTIVA SUBITO
OFFERTA SPECIALE

Tutto il sito - Mese

6,99€ 1 € al mese x 12 mesi

Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese

oppure
1€ al mese per 3 mesi

Tutto il sito - Anno

79,99€ 9,99 € per 1 anno

Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno
LA PRIMA LINEA
BELLUNO «Lavorare vicini al virus è difficilissimo. C'è prima di tutto una componente empatica. Inizialmente non era paura del virus: gli operatori da anni convivono con possibile contagio di malattie molto importanti, come l'HIV, l'epatite, la meningite, c'era dentro di loro soprattutto la preoccupazione di non diventare vettori del virus, con il pericolo di contagiare pazienti, colleghi e soprattutto famigliari, bambini, anziani, immunodepressi». A dare voce a chi ogni giorno guarda negli occhi il coronavirus e prova a sconfiggerlo è il comparto Funzione Pubblica della Cgil che ha raccolto ansie e speranze di chivive nella linea di fuoco. «Col tempo è aumentata anche la paura per se stessi. Lavorare con tutone, maschera e visiera è duro. Non respiri bene a causa del filtro, sudi tantissimo, vai in iperventilazione, e un po' alla volta ti manca il fiato, hai le vertigini. Restare vestiti così per un turno di 8 ore è durissima; arrivi sfinito, perché così bardato non puoi neanche bere un bicchiere d'acqua, soffiarti il naso, andare a fare la pipì».

INFERMIERI CHE SVENGONO
«In Cina si dice che gli infermieri mettessero il pannolone per non dover andare in bagno. Qui non abbiamo segnalazioni di questo tipo, per ora. Ci sono infermieri che svengono, operatori che alla fine sono provati come avessero spaccato pietre per tutto il turno. Si è convenuto, un po' alla volta, che i turni in zona sporca fossero divisi tra i dipendenti in servizio, facendo così solo 4 ore al massimo. Nelle tende, nei giorni gelidi di questo fine marzo, anche meno, perché le tende non sono riscaldate, e quindi gli operatori stanno 3 ore e poi si scambiano, per andare a riscaldarsi».
LE TESTIMONIANZE
«Abbiamo raccolto - spiega Andrea Fiocco - il racconto dell'infermiera che parte in ambulanza con il collega autista, per andare a recuperare un paziente sintomatico in una frazioncina di montagna. Vestita di tutto punto, sui tornanti, sudata e in affanno per l'abbigliamento, comincia ad avere nausea e per resistere, comincia a respirare con atti respiratori leggeri e frequenti, e così va in iperventilazione e rischia di perdere i sensi. Uno dei segni che contraddistingue i lavoratori che finisco il turno in zona sporca, oltre agli indumenti intrisi di sudore e il volto da maratoneta a fine gara, sono i lividi sulla faccia, tutto intorno agli occhi, come fossero occhiali disegnati con un pennarello viola: sono i segni della visiera, che preme sulla pelle per impedire il passaggio di droplet verso gli occhi, organo delicato e possibile punto di ingresso del virus. L'altro segno inconfondibile è il cerotto sul naso, sempre per i danni procurati dalla visiera. Durante tutte le mansioni che svolgono, queste persone devono confrontarsi con le ansie e i problemi di pazienti che comunicano con loro, perché sono le uniche persone che vedono per giorni. A loro, questi trasferiscono la paura di non farcela, di non poter più rivedere i propri cari, di non poter avere un funerale come si conviene, come eravamo abituati».
ALL'ULTIMO RESPIRO

«Gli operatori sanitari - continua il sindacalista - ad un tratto diventano intermediari con la famiglia, aiutano gli anziani a effettuare videochiamate con i parenti, sulle piattaforme più diverse. Sono diventati abilissimi utilizzatori di skype, hangouts e altre piattaforme, e quando squilla il cellulare, sanno che è il momento di entrare in una famiglia, perché il senso di famiglia in quei pazienti si estrinseca solo nella videochiamata. E poi c'è la vita privata, che non c'è più. A parte le ore dedicate al lavoro, che sono aumentate di molto, e i giorni di riposo che si sono ridotti (le ferie e i permessi revocati per decreto a tutti i sanitari), molti operatori, a casa, vivono in stanze separate dal resto della famiglia, per paura di contagiare i propri cari. Tutto quello che fanno a casa, è cercare di riposarsi. Dimenticare quello che si vive al lavoro è impossibile».
Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino