La pm: «C'era il quarto uomo»

La pm: «C'era il quarto uomo»
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Da quasi due anni Valeria Sanzari è procuratore aggiunto a Padova. Ma fino alla mattina del 21 agosto 2007 la trevigiana era il sostituto di turno a Treviso. «E da quella notte sono diventata la pm di Gorgo, un marchio che mi è rimasto addosso», racconta.

Come apprese la notizia?
«Alle 5 venni svegliata da una telefonata dei carabinieri. Passarono a prendermi subito e andammo a fare il primo sopralluogo».
Cosa ricorda?
«C'erano ancora i due corpi martoriati e posso dire di non aver mai visto una cosa del genere. Come avrebbe poi spiegato la relazione del medico legale Massimo Montisci, ai coniugi Pelliciardi erano state inflitte delle torture inimmaginabili. Per rispetto delle vittime e dei familiari abbiamo sempre glissato sui dettagli, se non ai fini giudiziari per calibrare la pena, ma posso assicurare che Guido e Lucia furono massacrati in modo davvero bestiale».
Lei parlò subito di belve.
«Oltre alla brutalità, faceva inorridire l'inutilità delle sevizie. I due poveri custodi non avevano le chiavi della villa e non poterono sottrarsi alle torture. Da brividi, ancora oggi».
Sentivate la paura?
«Eccome. Una comunità che fino ad allora era stata tranquilla, improvvisamente scopriva di non potersi più sentire sicura a casa propria. E poi avevamo una pressione incredibile dai media, ma riuscimmo a costruire un fronte compatto, grazie anche all'ottima cooperazione tra le forze dell'ordine: la polizia si occupò del controllo del territorio, lasciando ai carabinieri le indagini».
Il Dna rilevato, la borsetta ritrovata, il postamat strisciato: quale fu la vera svolta?
«I tabulati telefonici. Quando riuscimmo a individuare le utenze e a fare le intercettazioni, capimmo che il romeno stava per crollare e che i due albanesi si preparavano a fuggire. Facemmo scattare il blitz, i fermi vennero convalidati, le sentenze confermarono l'impianto accusatorio».
Delusa per i mancati riscontri all'ipotesi del quarto uomo?
«Resto convinta della sua esistenza, probabilmente si trattava di un parente di Naim Stafa, anche se non riuscimmo a dimostrarlo. Ma dobbiamo considerare che, quando siamo partiti, non avevamo niente in mano».
Cosa rimane, dieci anni dopo?

«La consapevolezza che lo Stato ha risposto, con presenza, tempestività e forza. E, personalmente, un forte legame con una squadra di investigatori eccellenti: a distanza di tanto tempo, ci consideriamo ancora il gruppo di Gorgo».
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Il Gazzettino