«La musica è salva manca il pubblico»

«La musica è salva manca il pubblico»
L'INTERVISTA«Non so mai dove mi porta la musica. Quando inizio un concerto ho un percorso che racchiude quarant'anni di piano solo. Propongo la mia creatività, ma anche i...

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L'INTERVISTA
«Non so mai dove mi porta la musica. Quando inizio un concerto ho un percorso che racchiude quarant'anni di piano solo. Propongo la mia creatività, ma anche i riferimenti ai grandi del passato come Monk e Tristano».

Franco D'Andrea, classe 1941, è uno dei pianisti che hanno fatto la storia del jazz nel nostro paese. In questi giorni si è esibito a Castelfranco (Treviso) dove ha ripercorso parte della sua lunga esperienza al pianoforte. Un innovatore mai stanco di seguire soprattutto le strade meno battute della musica di matrice neroamericana.
D'Andrea, quali sono i punti di riferimento della sua produzione?
«Mi sono formato con la musica di New Orleans che ascoltavo a Merano quando ero un ragazzo. Negli anni ho sempre mantenuto un legame con quei suoni e penso che sia dovuto al fatto che New Orleans, con il suo mondo, bilanci efficacemente le mie improvvisazioni e le mie astrazioni».
I musicisti come hanno reagito a questa lunga quarantena lontano dai teatri e dagli spettacoli dal vivo?
«In effetti dal vivo abbiamo fatto pochissimo perché abbiamo vissuto in una condizione che definirei innaturale. Nel mio caso mi ha aiutato parecchio la tecnologia, sono riuscito a studiare molto e a sperimentare. È come se fossi sempre stato in studio di incisione. Ma per molti altri colleghi, e più in generale per il settore, il blocco delle attività ha avuto effetti disastrosi. Speriamo in una ripresa immediata, per recuperare il terreno perso servirà tanta fantasia e una grande dose di ottimismo».
In questa estate la morte di Ennio Morricone ha avuto un eco mondiale davvero molto forte. Cosa ricorda di lui?
«È stato un musicista speciale, nei film ha dato contributi importati e sicuramente ineguagliabili. Morricone è stato un compositore con una visione molto precisa del suo lavoro che lo ha portato ai vertici della musica nel cinema. A questi livelli ce ne saranno al massimo cinque in tutto il mondo. Ma voglio anche ricordare che si tratta di un italiano che è rimasto sempre qui, non si è mai trasferito negli Stati Uniti. Ha composto cose pazzesche che resteranno a lungo nella memoria di tutti, la colonna sonora del film era davvero il suo ambito preferito».
A chi lo si può paragonare?
«Direi che siamo ai livelli di Nino Rota. Sono stati due compositori davvero molto diversi tra di loro, ma come tutti i grandi artisti hanno creato musiche che non si erano mai sentite prima».
Che idea si è fatto del jazz italiano di questo periodo?
«Sono molto soddisfatto, in questi anni mi sono reso conto che ci sono dei bravissimi talenti italiani. Non parlo solamente del mio settore, il pianoforte, visto che ci sono jazzisti cresciuti da noi che hanno davvero ottime potenzialità anche con altri strumenti».
Come vede la ripresa delle attività nei teatri?
«Ecco, se da una parte sono ottimista per le straordinarie qualità dei musicisti italiani, che non hanno proprio nulla da invidiare agli stranieri, dall'altra sono un po' preoccupato per quanto riguarda il pubblico».
In che senso?

«Girando per festival e teatri mi sono reso conto che il pubblico è sempre lo stesso, non c'è un ricambio generazionale. Insomma, il nostro pubblico invecchia e secondo me bisognerebbe fare qualcosa perché questo non avvenga. Nel jazz, che ha dato proprio molto a tutto il resto della musica, bisognerebbe realizzare un lavoro di divulgazione raffinata per far capire alla gente la sua effettiva importanza».
Gianpaolo Bonzio
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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Il Gazzettino