La mossa a sorpresa: un'autoriforma per salvare la tv pubblica

La mossa a sorpresa: un'autoriforma per salvare la tv pubblica
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Non si riconosceva nei panni che gli sono stati cuciti addosso: quelli del lottizzatore che dice di non voler mettere le mani nella Rai e invece ce le mette, quelli del normalizzatore del Tg3, del premier che lancia nuovi editti bulgari e si occupa di temi se non risibili altamente secondari come la crisi dei talk show. E allora? Il contropiede comunicativo di Renzi, di cui ieri ha dato una prima prova, funziona così: occuparsi di dare più soldi alla Rai, attraverso il canone che si abbassa (mossa nazional-popolare in linea con lo sforzo generale di riduzione fiscale) ma non lo si può più evadere; dotare in questa maniera l'azienda della regola basilare di ogni impresa che è quella di sapere a inizio anno precisamente l'entità delle risorse su cui si può contare (principio sconosciuto da sempre alla Rai abituata a succhiare soldi allo Stato a fondo perduto senza preoccuparsi troppo di questioni contabili); rilanciarla sul mercato pubblicitario (il «vorrei meno pubblicità» detto ieri da Lucia Annunziata significa volerla concentrare e fortemente aumentarla su certi canali e non spalmarla ovunque); e cominciare a farla cambiare dal di dentro, dal tandem Maggioni-Campo Dall'Orto, quasi a prescindere (se non per la cruciale trasformazione del direttore generale in vero e proprio amministratore delegato come previsto nel ddl in Parlamento) dalla riforma generale della tivvù pubblica che andrà in aula a Montecitorio il 19 ottobre. E che i più renziani considerano una sorta di «Gasparrina», quasi inservibile per stroncare come dovrebbe il tradizionale potere politico a Viale Mazzini. Tanto è vero che nessuno, nè il centrodestra e neppure i grillini, sta facendo barricate per fermarla. Dunque, ci si affida più a un'autoriforma - di concerto tra Viale Mazzini e Palazzo Chigi e che riguarderà non fra molto tempo l'informazione - piuttosto che alla riforma?

L'ultima uscita di Renzi naturalmente sta facendo felicissima la Rai. E il mantra del premier è il seguente: «Così salveremo questa risorsa fondamentale per la cultura e per la crescita del Paese. E se la Rai si rimette in pista non c'è storia per nessuno». Si tratta di rianimare un'azienda decotta e in crisi di ascolti, di creatività, di produttività e di avviare una nuova concorrenza. Sia con Mediaset, sia e forse ancora di più con Sky. Che ormai fa servizio pubblico. Non è più solo per abbonati. Ha lo sport che la Rai non ha più. E soprattutto nell'informazione e nella politica - come dice Michele Anzaldi, segretario renzianissimo in Vigilanza Rai - ha assunto una posizione centrale.

La Rai che a Renzi piacerebbe che fosse «come la Bbc», per ora è lontana dal poterlo diventare. Perchè non è previsto, nella legge che sarà approvata, il trasferimento della tivvù pubblica a una fondazione che si muove sul mercato. Ma ciò che intanto si può fare, agli occhi di Renzi, ma la competenza è del tandem Maggioni-Campo Dall'Orto, oltre la razionalizzazione e la riorganizzazione del settore informazione è lo sforzo di riportare la Rai all'avanguardia tecnologica. E ancora: la Rai da troppo tempo vive di rendita e adagiata su un bacino di utenza che abbraccia i pensionati ma si disinteressa della parte attiva del Paese. Ma oggi lo scenario è completamente cambiato. E il cavallo di Viale Mazzini non può concedersi l'ennesimo lusso o l'ennesimo spreco: quello di rispecchiare un mondo che non c'è più.
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Il Gazzettino