L'Europa ha gli anticorpi contro la sindrome cinese

L'Europa ha gli anticorpi contro la sindrome cinese
(Segue dalla prima pagina) (...) che sta accadendo alla Borsa cinese, cresciuta per lungo tempo e alla maniera disordinata...

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(Segue dalla prima pagina)


(...) che sta accadendo alla Borsa cinese, cresciuta per lungo tempo e alla maniera disordinata tipica di chi ha alle spalle un'economia forte che anche quando rallenta non scende mai sotto il 5%. Bisogna aggiungere che la Borsa di Shanghai dai minimi di giugno aveva recuperato il 16%, dopo che in tre settimane aveva lasciato sul campo quasi il 40%. Sicché la turbolenza sembrava finita, invece ieri è arrivata un'altra doccia fredda con un crollo dell'8,4%. È evidente quindi che - nonostante gli interventi governativi a sostegno - la situazione del mercato cinese prosegue la fase di instabilità. D'altro canto, se si considera che in soli nove mesi a partire dal settembre 2014 l'indice era praticamente raddoppiato, lo spazio per una pausa, anche importante, c'era tutto. Dunque, non sbaglia chi pensa che le scosse non siano terminate. Vale perciò domandarsi se esista un rischio di contagio per i mercati europei, da poco usciti dalla bufera greca. Un'analisi anche superficiale non può non considerare che il crollo della Borsa cinese è a un tempo causa ed effetto del rallentamento dell'economia nazionale. E se l'economia rallenta (ma non va dimenticato che sta comunque crescendo del 7%) diminuisce di conseguenza la domanda del primo importatore mondiale di petrolio, di un grandissimo acquirente di oro, di un grande consumatore di energia e via citando. Non a caso proprio le materie prime soffrono più di altre da quando il mercato azionario cinese è salito sulle montagne russe. E non a caso le valute che più sono sensibili agli umori dei mercati sono quelle dei principali esportatori di commodities, Canada e Australia.
Se si escludono le reazioni nervose di primo acchito tipiche delle Borse globalizzate, per il momento l'Europa non soffre granché. Anzi, dalla caduta del prezzo del greggio potrebbe addirittura avvantaggiarsi. Di sicuro in questa fase i comparti obbligazionari e azionari dell'area euro risultano meno sensibili alle brusche virate delle Borse asiatiche. E per molteplice ragioni. Il continuo miglioramento in atto del ciclo economico, sebbene si manifesti con incedere lento, è senz'altro una barriera efficace. Ma ancora più efficace è la costante presenza della Bce su entrambi i mercati, se è vero che i flussi si muovono seguendo il principio dei vasi comunicanti.
Naturalmente, sarebbe insensato pensare che da un'eventuale crollo perdurante della Borsa cinese l'Europa esca indenne. I meccanismi di trasmissione delle cadute possono infatti essere numerosi. Anzitutto perché un sistema finanziario instabile alla lunga compromette l'andamento dell'economia nazionale, minando i piani di sviluppo interni dai quali dipendono le sorti di lungo periodo delle materie prime e quindi di produttori di beni capitali. In secondo luogo, perché l'instabilità lederebbe la fiducia di quella parte di consumatori cinesi a reddito più elevato che sono i maggiori acquirenti di prodotti occidentali di alta gamma. E questi due elementi insieme potrebbero riaccendere i timori di un rallentamento delle economie europee alimentando nuove spinte deflazionistiche. Ma per quel che si può intravedere, non si è ancora in quella congiunzione astrale.

Osvaldo De Paolini

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Il Gazzettino