«Io, una madre cacciata dal lavoro»

«Io, una madre cacciata dal lavoro»
Dopo aver partorito il primo figlio, si è vista costretta a dare le dimissioni e, a distanza di pochi anni, il datore di lavoro di un'altra azienda l'ha lasciata a casa,...

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Dopo aver partorito il primo figlio, si è vista costretta a dare le dimissioni e, a distanza di pochi anni, il datore di lavoro di un'altra azienda l'ha lasciata a casa, nonostante avesse appena subito il dispiacere e le conseguenze di un aborto spontaneo.

Valentina C., 35enne padovana, si commuove ancora mentre racconta la sua ultima esperienza con il mondo del lavoro, nella condizione di donna che aspiri alla maternità. Nel 2013, dopo 8 anni di lavoro come responsabile di un ufficio in un'azienda di servizi, Valentina rimane incinta. Apparentemente tutto bene, fino a quando, a casa in maternità anticipata per incompatibilità ambientale, la donna ha iniziato a ricevere lettere di richiamo riferite a presunti episodi addirittura antecedenti la sua condizione. «Il primo richiamo mi è arrivato alla vigilia di Natale del 2013, e da li è iniziato un calvario psicologico che mi ha portata a fare un passo indietro e dare le dimissioni, prima che mia figlia compisse un anno», racconta Valentina. In seguito alle pressioni ricevute durante la gravidanza, infatti, la ginecologa le consiglia di intraprendere un percorso di terapia psicologica, per far fronte alla tensione che le procuravano le vessazioni da parte dell'azienda. Poi le dimissioni, e la ricerca di un'altra occupazione, che arriva quasi immediatamente. «Dopo qualche mese sono rimasta nuovamente incinta, ma sono stata costretta a restare a casa fin dalle prime settimane, in quanto la mia gravidanza era a rischio». Poco prima del terzo mese, Valentina perde il bambino. Rientra nel luogo di lavoro, dove il datore la invita ad una chiacchierata, con tanto di lettera di licenziamento già pronta: «Mi è stato detto che non sarei più stata in grado di portare avanti le mie mansioni in modo professionale e che, con quello che mi era successo, non ero serena, e dunque sarei stata inaffidabile nel lavoro. Non solo: il datore mi ha chiesto a distanza di quanto tempo avrei potuto tentare una nuova gravidanza sottolineando, infine, che non avrei potuto garantire piena dedizione al lavoro». Valentina decide, così, di non arrendersi come ha fatto la prima volta, e si rivolge al sindacato per denunciare l'accaduto e intentare una causa legale nei confronti dell'azienda che l'ha licenziata. «È una storia di coraggio, che deve essere d'esempio per le tantissime donne che arrivano da noi troppo tardi - dichiara Gloria Berton, segretaria confederale di Cgil Padova -. I sindacati, dal canto loro, devono essere più efficaci nell'ambito delle contrattazioni».
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Il Gazzettino