In questo mondo pandemico attraversato dalla paura e dall'attesa di un futuro molto

In questo mondo pandemico attraversato dalla paura e dall'attesa di un futuro molto
In questo mondo pandemico attraversato dalla paura e dall'attesa di un futuro molto nebuloso, pur in presenza delle immancabili frange negazioniste, due parole circolano con...

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In questo mondo pandemico attraversato dalla paura e dall'attesa di un futuro molto nebuloso, pur in presenza delle immancabili frange negazioniste, due parole circolano con insistenza: responsabilità e condivisione.

Si chiede responsabilità ai cittadini per respingere il virus: responsabilità di indossare la mascherina, rispettare il distanziamento sociale e lavarsi ripetutamente le mani. Responsabilità deriva dal verbo latino responsare cioè rispondere. In genere, si risponde ad una norma di legge o, nel caso di specie, ai decreti emanati dal Presidente del Consiglio per combattere il virus. Ma si potrebbe, sempre con il termine responsabilità, rispondere ad un dovere morale o etico: non concorrere a infettare gli altri, ma anche non infettare se stesso poiché questo comportamento procurerebbe problemi alla collettività. A breve respiro, concorrerebbe spesso a premere sulla struttura sanitaria e, in linea generale, ad alimentare il progresso della pandemia.
Di responsabilità sociale rispondono i governanti e quanti intervengono mediaticamente con opinioni e suggerimenti. Mentre questi ultimi devono informare con spirito scientifico i cittadini sulla situazione e sulle prospettive per superare la pandemia, i governanti, in un paese democratico, assumono una responsabilità politica, devono rispondere agli elettori dei provvedimenti prescelti e realizzati per governare il complesso equilibrio tra salute ed economia.
Qui però si aggiunge la seconda parola, la condivisione, che riguarda innanzitutto i governanti, dallo stato centrale alle regioni, dall'esecutivo all'opposizione. La situazione epidemiologica è talmente grave da richiedere che tutti remassero assieme per contenere l'epidemia. Da giorni stiamo, invece, assistendo a timidi tentativi tra maggioranza e opposizione per cercare di collaborare tra loro e al classico scaricabarile tra governo e presidenti delle regioni per non apparire fautori delle misure più impopolari. Sembrava che il modello messo a punto con 21 indicatori forniti dalle singole regioni, mettesse tutti d'accordo, invece ha favorito incomprensioni e accese discussioni nella trasmissione dei dati perché in ritardo o incompleti. Anche la scelta di collocare una regione in una fascia di colore, indicante le restrizioni da rispettare, ha suscitato discussioni poiché degli indicatori non sono noti i loro pesi nell'algoritmo. Sembra che in certi casi sia determinante l'andamento dei contagi, in altri la capacità delle strutture ospedaliere. Forse qualche indicatore in meno sarebbe meglio.

Vi è certo più di qualche smagliatura nelle norme del Titolo Quinto che regolano i rapporti tra stato e regioni. Si sa che lo scopo, abbastanza evidente, dei presidenti di regione è di catturare il consenso degli elettori, difendendoli dalle manovre impopolari, specie quelle che limitano la vita economica della propria regione. Avvertono la necessità di difendere gli operatori economici, colpiti dalle chiusure imposte alle loro attività. Ristoratori, albergatori, commercianti sono le categorie che dalla pandemia stanno subendo più danni. Si ripete quanto era successo in primavera. Mancano gli incassi e questo determina un fabbisogno di liquidità. I ristori, contando sulla tempestività, dovrebbero venire incontro a questa esigenza.
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Il Gazzettino