La vicenda di Menocchio ha più di mezzo millennio, eppure si rivolge anche al presente con una tempistica opportuna in questo Occidente sempre più nostalgico di poteri forti,...
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Il friulano Alberto Fasulo, già vincitore di una Festa di Roma con Tir (2013), firma un film politico di tenebrosa bellezza, dal rigore estetico che non diventa esercizio di stile, sfidando il buio (del pensiero) con una illuminazione solo naturale dentro la disumanità della prigione, portando così la travagliata esperienza del mugnaio a esprimere tutta la sofferenza della carne e dello spirito, attraverso il desiderio di rivolta. Alla Chiesa che processa Menocchio, vestito di luridi stracci e a piedi nudi, Fasulo toglie ogni sacralità, esaltata in quella lunga sequenza inquisitoria, dove l'arroganza del Potere ecclesiastico si specchia nelle figure alle pareti di altri prelati di epoche passate, in una morsa mortale reale e simbolica. Tra rimandi pittorici cari ai fiamminghi e agli artisti più travagliati, da Rembrandt a Caravaggio, Menocchio, che ha il volto scavato e rugoso di un magnifico Marcello Martini, scruta l'impertinente ribellione di un uomo che sa di essere fieramente nel giusto, anche se non può dimostrarlo, accettando di soccombere davanti a uomini che seminano dolore e terrore, in nome di un Dio assoluto e crudele.
Girato tra Trentino e Friuli, prodotto e distribuito dalla friulana Nefertiti dimostra la vitalità di un cinema italiano, sganciato dalle logiche commerciali e la creatività di registi indipendenti.
Adriano De Grandis
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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Il Gazzettino