IL LUTTO Il canto, la musica, le parole. Non muoiono mai. E se Gianni o meglio

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IL LUTTOIl canto, la musica, le parole. Non muoiono mai. E se Gianni o meglio Gianluigi Secco ha chiuso gli occhi per sempre, certo la sua eredità resta. Quasi sintetizzata in...

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IL LUTTO
Il canto, la musica, le parole. Non muoiono mai. E se Gianni o meglio Gianluigi Secco ha chiuso gli occhi per sempre, certo la sua eredità resta. Quasi sintetizzata in quel suo piccolo appartamento di via Garibaldi, tappezzato di libri e icone, collezioni di flauti, raccolte di bastoni e di presepi. Secco, classe 1946, è morto ieri all'ospedale San Martino. Probabilmente per un infarto su un corpo già provato. Antropologo, storico delle tradizioni popolari, cantante, compositore, scrittore. Appassionato di enogastronomia. Grande comunicatore. Innamorato pazzo della sua terra. Tanto innamorato da cantargliele, da non risparmiarle le critiche. Non accettava, per esempio, il passivo refrain, stile piagnisteo, sul fatto che i trentini hanno tutto: «Là ci sono più soldi che da noi, è indubbio ci disse in un'intervista di qualche anno fa ma non bastano, occorrono pure idee e capacità di fare gruppo per portarle avanti. E questo è quello che, spesso, manca ai bellunesi, di là dai soldi. Insomma: a volte sembra che ci dia fastidio se un altro bellunese ha successo».

IL CULTO DELLA TRADIZIONE
Per Gianni Secco tradizione ha sempre fatto rima con religione. Poiché, a suo dire, la religione di base offre le risposte ai bisogni materiali e spirituali. «Ecco che l'eternità corrisponde alla memoria dei propri avi, perché solo se ti ricordi degli antenati quando morirai qualcuno si ricorderà di te. Per questo tutte le rappresentazioni popolari hanno i morti che tornano e mangiano con te».
LA MALATTIA E IL RITORNO
Gianni Secco non faceva mistero di quella che fu la sua lotta con il linfoma di Hodgkin con tanto di trapianto nel giugno 2015. Un tumore che chiamava la bestia. E del periodo da paziente parlava, facendo però progetti, pensando alla vita, al futuro: «Ci vuole una tua resistenza personale alla morte. O trovi l'energia per ripartire o ti domandi: vale la pena fare tanta fatica? Dopo la malattia ho capito che non puoi correre, nemmeno i 10 metri puoi fare - sono parole affidate al Gazzettino nell'intervista rilasciata a Edoardo Pittalis e pubblicata a settembre 2019 - la poesia, la canzone, la scrittura mi hanno sorretto. Ci ho messo più di quattro anni per rialzarmi. Oggi ho bisogno di chi mi aiuta, ma ho ripreso i concerti».
L'ESIBIZIONE A MUSSOI

Tra dicembre e gennaio gli ultimi eventi pubblici a cui ha partecipato da poeta-trovatore. Su invito della parrocchia di Mussoi Gianni Secco aveva messo in scena, se così si può dire, una serata amarcord. Attraverso lo scorrere sullo schermo di vecchie fotografie era andato indietro nel tempo, nel quartiere della città a lui più caro perché ci era vissuto da ragazzo, proprio come un ragazzo della via Gluck. La famiglia di Gianni, nei primi anni Cinquanta, si era trasferita a Mussoi quartiere dove, insieme alle caserme, spuntarono come funghi casette e condomini - perché il padre era tecnico alla Chinaglia, importante fabbrica metalmeccanica. Ci scherzava, come sapeva lui: «I miei migliori anni, vissuti gomito a gomito con i frati cappuccini, da chierichetto vestito come Mago Zurlì». Intanto, pure, giocava a rugby: faceva parte della squadra giovanile, a 13. «Non avevo la struttura da pilone, ma correvo veloce raccontò - abbiamo inaugurato lo stadio di Belluno giocando contro il Cus Torino». Quel 5 gennaio Gianni raccontò anche dell'impegno di lui ragazzo nella costruzione del presepe meccanico, semovente, che richiamava nella chiesa-ossario visitatori dal tutto il Veneto. Forse partì da quella esperienza giovanile la passione per i presepi. Ne raccolse di ogni foggia, da tutto il mondo. E proprio per il Natale 2019 mise in mostra, in una sala parrocchiale, la sua collezione. Finita di smantellare da poco. Proprio solo ai primi di marzo Giorgio Reolon e Costantino Cavallini avevano riportato a casa di Gianni un suo presepe, quello meccanico in legno. L'ultimo presepe che aveva prestato, in un ultimo saluto.
Daniela De Donà
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Il Gazzettino