IL FUTURO PONTE DI PIAVE Per un anno beneficeranno del paracadute della cassa

IL FUTURO PONTE DI PIAVE Per un anno beneficeranno del paracadute della cassa
IL FUTUROPONTE DI PIAVE Per un anno beneficeranno del paracadute della cassa integrazione. Dopodiché l'orizzonte per i lavoratori della Stefanel rimane ancora incerto. Sono 83 i...

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IL FUTURO
PONTE DI PIAVE Per un anno beneficeranno del paracadute della cassa integrazione. Dopodiché l'orizzonte per i lavoratori della Stefanel rimane ancora incerto. Sono 83 i dipendenti del gruppo nella Marca, dove l'azienda è nata ed è diventata uno dei marchi italiani di abbigliamento più noti: tutti, tranne due, stando ai primi dati comunicati dall'impresa ai sindacati, saranno coinvolti nella riorganizzazione, insieme ai colleghi di altre provincie e regioni. La fetta più consistente è costituita dagli addetti del quartier generale di Ponte di Piave: 72 le persone in organico (la cig dovrebbe riguardare 70 posizioni), in massima parte impiegati e tecnici. A loro si sommano poi sette occupati del vicino punto vendite aziendale e altre quattro del negozio in via XX Settembre, in pieno centro a Treviso. La cig potrebbe partire già in febbraio, se le procedure al ministero si svolgeranno in tempi abbastanza rapidi.

CHI È COINVOLTO
I lavoratori trevigiani non saranno i soli in Italia. Per fronteggiare la crisi economico-finanziaria in cui si dibatte da alcuni anni (a settembre 2018, le perdite sfioravano i 21 milioni di euro), Stefanel sta mettendo a punto un piano di risanamento. Che sarà elemento portante della proposta definitiva di concordato in bianco, a cui la società è stata ammessa nei giorni scorsi. Nell'incontro dell'altro ieri, intanto, i manager hanno illustrato ai rappresentanti sindacali dei lavoratori come intende muoversi sul fronte dell'occupazione: verrà richiesta la cassa integrazione straordinaria per crisi, per dodici mesi, pressoché per la totalità dei 253 dipendenti in forza. Nella lettera per richiedere l'avvio della procedura, si parla di 249 soggetti, a fronte di 244 esuberi. L'azienda ha in seguito precisato la volontà di procedere solo con l'ammortizzatore sociale.
LE CIFRE
La platea ampia, come di prassi in simili casi, serve a consentire l'attuazione di una cassa a rotazione, coprendo solo una parte dell'orario lavorativo di ciascuno. E, alla fine del percorso di ristrutturazione, almeno una parte dovrebbe rientrare. I numeri precisi, comunque, verranno definiti nella trattativa che si dovrebbe aprire a breve, coinvolgendo anche i sindacati del settore commercio (il grosso, infatti, è rappresentato proprio da commessi e commesse dei punti venditi sparsi in tutto il paese). «I lavoratori di Stefanel sono molto arrabbiati per quello che sta succedendo sottolinea Cristina Furlan, segretaria provinciale della Filctem Cgil, unica sigla presente nello stabilimento trevigiano -, pensavano che con l'arrivo dei due fondi di investimento internazionali le cose sarebbero migliorate e invece questo non è avvenuto. Il risultato è che ora si chiede una drastica riduzione dell'occupazione: come sempre l'unica strada individuata per ridurre i costi. Lotteremo fino alla fine per ridurne al minimo possibile l'impatto».
LA SEDE

Sul tavolo, a livello locale, pure la possibile chiusura dello stabilimento lungo la Postumia. L'azienda ha ribadito di voler mantenere un presidio. Ma il documento presentato ai sindacati cita l'intenzione di trasferire le attività in parte a Milano, in parte a ditte esterne, in parte in un altro sito, in provincia di Treviso. Non è esclusa l'ipotesi anche di una collocazione vicina all'attuale, ma più funzionale alle mutate esigenze e a un organico ridimensionato. Tra i dipendenti e i loro rappresentanti, però, sale la preoccupazione per la possibile perdita di un ulteriore pezzo pregiato del tessile abbigliamento nostrano: «Stefanel rischia di rimanere solo una società commerciale rimarca Furlan - bisogna tornare a produrre in Italia: con nuove tecnologie e nuovi investimenti è possibile. E la politica deve favorire questo ritorno. Altrimenti, rischiamo l'estinzione del nostro manifatturiero».
Mattia Zanardo
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Il Gazzettino