«Il Coronavirus qui tra noi non riuscivamo a crederci»

«Il Coronavirus qui tra noi non riuscivamo a crederci»
«Il sapore della libertà non ha prezzo. Vedere la luce, sentirla piacevolmente addosso, sentire la brezza sul viso. Lo si può davvero apprezzare solo quando tutto ciò è...

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«Il sapore della libertà non ha prezzo. Vedere la luce, sentirla piacevolmente addosso, sentire la brezza sul viso. Lo si può davvero apprezzare solo quando tutto ciò è mancato». Roberta Faccioli, trentenne infermiera, lavora proprio al reparto di Medicina di Schiavonia dove era ricoverato il paziente risultato positivo e trasportato d'urgenza a Padova. Appena esce dall'ospedale, dopo un turno durato 30 ore come mai le era capitato, si scatta una foto sorridente e posta queste parole su Facebook.

Che esperienza è stata?
«Una giornata lunghissima dove abbiamo lavorato tanto, mangiato poco e dove siamo stati pronti a rispondere a tutte le diverse esigenze di ogni singolo paziente. Ci siamo aiutati moltissimo».
Cosa le rimarrà nella mente?
«Il sostegno reciproco tra colleghi, che ringrazio dal profondo del mio cuore. Stanchi, spettinati e volenterosi, non hanno mai perso né la loro lucidità né il loro sorriso. Hanno reso tutto più facile e nessuno si è mai sentito solo».
Anche voi, però, ad un certo punto vi siete trovati in piena psicosi.
«Io lavoro proprio al reparto del Blocco C2 di Medicina, dove era ricoverato uno dei due signori contagiati. Quando l'abbiamo saputo c'è stata una sensazione di incredulità generale. Il Coronavirus è sempre sembrata una cosa lontana, chi se lo sarebbe mai aspettato qui a Schiavonia?».
Ha avuto paura?
«Io ho cercato di tenere a bada ogni emozione e concentrarmi solo sul mio lavoro, ma è naturale che tra i miei colleghi più di qualcuno si sia spaventato. Soprattutto chi a casa ha figli piccoli oppure genitori anziani».
Quando è iniziato il suo ultimo turno?
«Sabato mattina sono stata una delle ultime a riuscire ad entrare per dare il cambio ai colleghi, alle sei e mezza del mattino. Sono subito scesa giù in laboratorio e ho fatto il tampone, per fortuna dopo tre ore ho ricevuto l'esito negativo e mi sono messa immediatamente al lavoro. Sono rimasta dentro l'ospedale ininterrottamente fino a mezzogiorno di oggi (domenica, ndr)».
Come ha passato quelle trenta ore blindata in un ospedale-fantasma?
«Quasi esclusivamente lavorando, come i miei colleghi. C'erano tanti pazienti a cui prestare le nostre attenzioni. Nonostante fossimo in tanti, perché non era stato possibile fare un cambio-turno, in ospedale il lavoro non manca mai».
È riuscita almeno a dormire qualche ora?
«Il minimo indispensabile di riposo, dandoci il cambio. Senza letti, solo sulle poltrone o dove capitava».
E per mangiare?
«Inizialmente ci siamo arrangiati con ciò che riuscivamo, poi la nostra capo-sala si è fatta in quattro per consentirci di farci arrivare un camion mensa. Trenta ore sono davvero infinite».
L'Ulss 6 vi ha definito eroi.

«Io non mi sento un'eroina. Ho semplicemente fatto quello che deve fare un'infermiera in una situazione come questa».
G.Pip.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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Il Gazzettino