Il colpo alla testa e la polmonite «La vita di Joco appesa a un filo»

Il colpo alla testa e la polmonite «La vita di Joco appesa a un filo»
IN OSPEDALETREVISO Stazionario ma in condizioni gravissime. I medici del Ca' Foncello non hanno voluto dare false illusioni ai familiari di Joco Durdevic: la ferita alla testa,...

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IN OSPEDALE
TREVISO Stazionario ma in condizioni gravissime. I medici del Ca' Foncello non hanno voluto dare false illusioni ai familiari di Joco Durdevic: la ferita alla testa, col proiettile finito giusto nel cervelletto, ha gravemente compromesso il quadro clinico del 53enne, raggiunto da uno dei colpi di pistola esplosi nel primo pomeriggio in Borgo Capriolo dal nipote Branko, 36 anni, ora in carcere a Venezia. «Ma non siamo nemmeno sicuri sia stato ferito da un solo proiettile - spiega la famiglia -. Aveva due segni in testa, forse il secondo colpo lo ha raggiunto di striscio. Il problema è che oltre a questo, Joco sta lottando con una grave infezione polmonare. Quando è stato ferito aveva appena mangiato, e a quanto ci è stato riferito un reflusso gastrico ha causato il collassamento di uno dei polmoni, che poi si è infettato. Gli stessi dottori ci hanno spiegato che le speranze sono ridotte al lumicino».

LO STRAZIO
Davanti all'ospedale, lunedì sera, si sono radunate diverse persone tra amici e parenti del nomade 53enne, tutte ansiose di conoscere le condizioni del loro caro. «Sono arrivate anche le pattuglie delle volanti - hanno raccontato -, ma noi volevamo sapere solo come stava Joco. Gli agenti sono stati gentili, ci hanno messo in contatto con i medici, e poi ce ne siamo andati». Sono stati gli stessi componenti della famiglia Durdevic, parenti sia della vittima della sparatoria che dell'uomo che ha premuto il grilletto, suo nipote Branko, a convincere quest'ultimo a mettere termine alla fuga durata dalle 3 del pomeriggio alle 22 di sera quando il 36enne, localizzato e circondato, ha gettato la spugna. Fondamentali le telefonate dei parenti, riusciti a dissuaderlo: «Non ha senso che continui a scappare - gli hanno detto -, sanno tutti che sei stato tu, meglio se ti consegni e spieghi cos'è successo».
I PRECEDENTI

Che la situazione fosse tesa tra Joco e Branko era noto a tutti nel clan. La faida familiare era scoppiata quando la moglie di Riccardo Durdevic, in carcere dall'inizio dello scorso anno, aveva iniziato una relazione con il cugino del marito, Branko per l'appunto, a sua volta uscito dal carcere da qualche mese. Gli scontri con lo zio non erano tanto per questioni di cuore, non c'era gelosia tra cugini, quanto per la gestione delle 3 figlie di Riccardo e dell'ormai ex compagna, che ora si trova in Croazia con la figlia più piccola. Proprio la lontananza e l'impossibilità di vedere quest'ultima sarebbe stata la causa del dissidio. «Prima di Natale si erano incrociati anche in caserma dai carabinieri - dicono i parenti -. E si sono attaccati». Ma lo scontro era stato evitato anche grazie all'opera di mediazione dei militari dell'Arma, che avevano evitato che venissero a contatto. Joco Durdevic, così come Branko, sono volti arcinoti alle forze dell'ordine, con condanne alla spalle per reati contro la persona e contro il patrimonio. Ma nel mondo forense tutti parlando di due soggetti affatto pericolosi né propensi alla violenza. «Joco è sempre stato un bonaccione, mentre il figlio Riccardo, ora in carcere per rapina, aveva alzato un po' il tiro - spiega un avvocato che ha seguito entrambi -. La faida familiare con Branko e con l'ex nuora andava avanti da mesi, non capisco come possa essere degenerata in questo modo». Stessa opinione su Branko, «affatto violento: incomprensibile sia arrivato a sparare contro lo zio».
(a.belt/de.bar)
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Il Gazzettino