IL CASO UDINE Anche in Friuli è caccia alle varianti del covid. E alle ragioni

IL CASO UDINE Anche in Friuli è caccia alle varianti del covid. E alle ragioni
IL CASOUDINE Anche in Friuli è caccia alle varianti del covid. E alle ragioni per cui pure in provincia di Udine si stanno verificando dei casi di reinfezione, con persone che si...

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IL CASO
UDINE Anche in Friuli è caccia alle varianti del covid. E alle ragioni per cui pure in provincia di Udine si stanno verificando dei casi di reinfezione, con persone che si erano già contagiate nella prima ondata e ora, a distanza di mesi, tornano a dover fare i conti con il coronavirus. Le risposte, gli scienziati, le cercheranno nel genoma, grazie al sequenziamento che, dalla prossima settimana, dovrebbe essere fatto a spron battuto su molti più campioni nei laboratori dell'Azienda sanitaria universitaria Friuli centrale.

I RICERCATORI
Come spiega Francesco Curcio, direttore del dipartimento di Medicina di laboratorio di Udine, «in Italia ci sono oltre 50 laboratori che sequenziano. Noi a Udine abbiamo messo a punto tutta la metodica e abbiamo fatto una quarantina di sequenze. Spero di iniziare la prossima settimana in modo massiccio con numeri più alti di campioni analizzati. Inizieremo a sequenziare di routine». Sotto la lente, «non i casi che rientrano in un contesto standard, ma quelli che oggettivamente danno qualche preoccupazione. Non si sequenzia a caso. Per esempio, stiamo cominciando a vedere che stanno comparendo alcuni casi di reinfezione e quelli sono tutti da sequenziare. Li stiamo raccogliendo». Per ora, questi casi di contagio doppio «sono meno di una decina, 5-6, che abbiamo identificato su tutti quelli che abbiamo visto ammalati nella prima ondata. Però il problema è che stanno cominciando a concentrarsi. Da adesso in poi, se l'evoluzione è questa, ci aspettiamo di cominciare a vedere qualche reinfezione».
EX CONTAGIATI
I ricercatori friulani tengono sotto la lente un gruppo di ex contagiati della prima fase. «Stiamo seguendo una coorte di circa 500 soggetti che si sono ammalati durante la prima ondata, facendo ogni mese i dosaggi degli anticorpi, per vedere la loro risposta. In effetti, più di metà dei soggetti che avevano sviluppato anticorpi ad aprile-maggio adesso non li ha più e quelli che li hanno ancora nella maggior parte dei casi hanno metà degli anticorpi che avevano all'inizio. È un tema che ci fa capire che è probabile che comincino le reinfezioni».
ANTICORPI
La dote anticorpale certe volte sembra non bastare. «Siccome abbiamo anche uno o due casi di soggetti che si sono reinfettati pur avendo ancora una certa quantità degli anticorpi che avevano all'inizio - prosegue Curcio - è evidente che si tratta di uno di quei casi che vanno sequenziati subito. Dobbiamo capire se è perché gli anticorpi sono poco efficaci o se è perché c'è una variante del virus. Bisogna partire così, in modo mirato, non sequenziando ventimila soggetti. Sono già state identificate tante varianti, anche noi abbiamo trovato delle varianti, ma senza significato» per migliorare la lotta al virus. Certo, se «da quello che sappiamo dalla letteratura, oggettivamente la variante inglese pone pochissimi problemi, adesso un po' più preoccupante è sicuramente quella brasiliana e sudafricana». Insomma, numeri più alti di campioni sequenziati, ma non a pioggia.

«Abbiamo l'obiettivo di sequenziare tutti quei campioni che è utile sequenziare. Finora - dice Curcio - non c'era tutta questa necessità. C'era un laboratorio centrale allo Spallanzani che sequenziava. Non c'erano motivi assistenziali. Ora che sono iniziati a comparire, non abbiamo alcun problema a fare il sequenziamento. Lo abbiamo fatto anche nelle primissime fasi della pandemia».
Camilla De Mori
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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Il Gazzettino