IL CASO TREVISO La Romania frena ma mantiene alta la guardia: dopo l'annuncio

IL CASO TREVISO La Romania frena ma mantiene alta la guardia: dopo l'annuncio
IL CASOTREVISO La Romania frena ma mantiene alta la guardia: dopo l'annuncio di una quarantena per tutte le persone in arrivo dal Veneto e dalla Lombardia, le misure restrittive,...

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IL CASO
TREVISO La Romania frena ma mantiene alta la guardia: dopo l'annuncio di una quarantena per tutte le persone in arrivo dal Veneto e dalla Lombardia, le misure restrittive, al momento, saranno limitate a chi proviene dei centri già messi in isolamento dalle autorità italiane. Mentre già si sollevavano polemiche sulla questione, speciali squadre sanitarie sono attive negli aeroporti romeni per controllare i viaggiatori provenienti dall'Italia. Ma, come specificato da un comunicato del ministero della Sanità romeno riportato anche sul sito internet ufficiale dell'ambasciata italiana a Bucarest, ad essere sottoposti ad una quarantena preventiva di 14 giorni, anche se non manifestano sintomi dell'infezione, saranno solo quanti provengono da Vo' Euganeo e dai comuni lombardi del Lodigiano, in cui sono stati individuati focolai del virus, così come anche tutti coloro che abbiano frequentato quelle località nelle due settimane precedenti.

I timori, tuttavia, non sono del tutto fugati. Pur mancando una mappatura precisa recente, le imprese con capitale veneto in Romania sono stimate tra le quattromila e le cinquemila unità. E i flussi di personale, in andata e in ritorno, ammonta a centinaia di persone al giorno. Se il governo del Paese, che peraltro non aderisce all'accordo di Schengen sulla libera circolazione di persone e merci, dovesse decidere ulteriori restrizioni in seguito all'emergere di ulteriori contagi? Magari comprendendo comuni veneti più industrializzati del territorio oggi interessato? «Le conseguenze sarebbero molto pesanti, sia nel Veneto che in Romania», conferma Luca Serena, imprenditore trevigiano, presidente di Confindustria Est Europa (l'organizzazione che rappresenta le industrie italiane di undici paesi dell'area balcanica), dopo essere stato a lungo alla guida di Confindustria Romania. «L'85- 90 per cento di chi ogni giorno si reca in Romania per lavoro spiega è costituito da responsabili della produzione, responsabili della qualità, tecnici, manutentori, addetti al controllo dei macchinari o alla programmazione dei software informatici. Tutta gente che se dovesse essere costretta a rimanere in quarantena prima di poter andare nello stabilimento, ovviamente non partirebbe nemmeno».
In alcuni casi, si potrà operare in videoconferenza oppure on line, ma per tutte le funzioni che richiedono una presenza fisica, diventerebbe arduo trovare una soluzione. «C'è poco da fare: si rischia di bloccare le aziende», ribadisce Serena. Oltre al danno, la beffa, perché nelle ultime settimane, diverse di quelle imprese romene hanno ricevuto nuove commesse, dopo lo stop delle forniture di componenti dalla Cina. «Molte aziende dell'arredamento venete e friulane, ad esempio, si sono rivolte, in sostituzione, a fornitori dell'Europa orientale. Se ora si fermano anche i flussi da fonti di approvvigionamento complementari o alternative a quelli cinesi, si rischia di bloccare tutto un sistema industriale», conferma il leader dell'associazione confindustriale.

Ma la stessa economia romena ne riceverebbe un colpo non da poco: l'Italia è il primo partner commerciale del paese, le imprese a capitale italiano danno lavoro ad oltre 800mila persone e producono un punto e mezzo del complessivo Pil nazionale. Mentre il Comitato per la sicurezza sanitaria della Ue ha raccomandato ai paesi di «condividere le informazioni sulle misure programmate» contro il coronavirus «prima che le decisioni siano attuate», l'ambasciatore romeno, incontrando il governatore della Lombardia Attilio Fontana, ha dichiarato infondate le notizie sullo stop ai voli. Contro isterismi sulla vicenda, in campo nazionale, ma pure internazionale interviene anche il deputato trevigiano di Forza Italia, Raffaele Baratto: «Veneto e Lombardia non sono zone di guerra. Ci aspettiamo solidarietà». Nell'Europa dell'Est hanno sede oltre ventimila ditte italiane. E se le misure di tutela sanitaria sono assolutamente doverose, anche Serena ribadisce la necessità di non cedere all'emotività: «Il presidente del Consiglio ha già annunciato un confronto con tutti i paesi confinanti, auspico venga allargato a tutti quelli con cui vi sono forti relazioni economico-imprenditoriali per condividere azioni che sicuramente devono mettere in primo piano la salute, ma con in un'ottica di buon senso e basata su evidenze medico-scientifiche e non sull'onda del panico, con l'effetto di adottare misure sproporzionate rispetto all'effettivo rischio».
Mattia Zanardo
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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Il Gazzettino