IL CASO TREVISO Ha tentato di darle fuoco gettandole della benzina addosso, fortunatamente

IL CASO TREVISO Ha tentato di darle fuoco gettandole della benzina addosso, fortunatamente
IL CASOTREVISO Ha tentato di darle fuoco gettandole della benzina addosso, fortunatamente l'accendino che aveva in mano non ha funzionato o non è riuscito ad accenderlo. Lui,...

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IL CASO
TREVISO Ha tentato di darle fuoco gettandole della benzina addosso, fortunatamente l'accendino che aveva in mano non ha funzionato o non è riuscito ad accenderlo. Lui, padre di origine marocchine da 22 anni residente ad Arcade, a pochi chilometri di Treviso, non accettava che la figlia quindicenne avesse una vita come gli altri suoi amici adolescenti. Non voleva che si vestisse all'occidentale, la voleva invece più ligia ai precetti religiosi dell'Islam, alla tradizione. E dopo l'ennesima lite, ai primi di giugno, la follia: è salito nella camera della ragazzina con una tanica in mano, voleva bruciarle quei vestiti che aveva ancora addosso; le ha quindi gettato addosso della benzina brandendo un accendino che però ha fatto cilecca.

IL DRAMMA SFIORATO
Un episodio tragico, accaduto in una famiglia marocchina all'apparenza normale. I genitori sono arrivati nella Marca con una delle prime ondate di immigrati e sono riusciti a costruirsi un futuro grazie al lavoro e al sacrificio: lui è dipendente di un'azienda locale, lei manda avanti la casa. Hanno avuto tre figli, ancora tutti minorenni, che il Marocco lo hanno visto, forse, solo in vacanza. E il padre non ha accettato la voglia di essere normale della figlia quindicenne.
Dopo l'episodio della benzina, madre e figlia si sono recate al consultorio del comune. Hanno parlato con un operatore, hanno descritto il clima invivibile che si respira in casa e raccontato dell'esplosione di violenza del padre. Al consultorio hanno capito che la situazione era grave e hanno immediatamente avvisato la questura. Tempestive le indagini, scontata la denuncia nei confronti dell'uomo per maltrattamenti e il fermo con incarcerazione immediata.
L'INTERVENTO
Il tribunale ha poi chiesto al sindaco Domenico Presti di mettere al sicuro il resto della famiglia.
«La situazione è molto delicata - premette Presti - e i nostri servizi sociali la stanno seguendo attentamente. Come amministrazione ci siamo limitati a seguire le indicazioni del giudice portando la madre e i tre figli in una struttura protetta, dove il padre non può assolutamente avvicinarsi. Rimarranno lì, tranquilli, a spese del Comune, fino a quando il giudice non ci dirà diversamente». Presti ha accompagnato gli agenti della polizia locale il giorno in cui la madre e i figli sono stati prelevati e portati via da casa. C'era anche il padre, sbigottito prima e in lacrime dopo: «Gli ho parlato - confida il sindaco - e mi pare che si sia reso conto dell'enormità del suo errore. Gli ho detto che deve capire che i suoi figli sono di fatto italiani. Sono nati qui, hanno sempre vissuto qui e stanno andando nelle nostre scuole. Non può pretendere che si sentano legati a tradizioni e culture per loro lontane. Il mio auspicio è che la famiglia si possa ricomporre, che possano tornare a vivere tutti assieme, ovviamente seguiti da assistenti sociali e psicologi. È una brutta storia, però spero che possa avere un lieto fine».
LE REAZIONI

È molto duro invece Abdallah Khezraji, punto di riferimento della comunità marocchina e presidente del Festiva Italo-Marocchino: «Sono persone fuori dal mondo. Io adesso sono in Marocco e qui non si impone a nessuno come vestire. Non c'è alcun obbligo. Certe persone pensano di essere ancora nella preistoria. Ci dispiace per la ragazza a cui esprimiamo vicinanza e solidarietà. Si può educare i figli anche in modo severo. Ma imporre loro un modo di vestire è una cosa che mi suscita tristezza e pietà».
Paolo Calia
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Il Gazzettino